Donne preti: oltre il Danubio

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Vent’anni fa, su un battello nel Danubio, vennero consacrate sette donne. Era il 29 giugno 2002. Tutte hanno subìto la censura della scomunica. Che ne è stato di loro?

Christoph Hartmann ha ripreso la loro storia su Katholisch.de. L’anno successivo una è stata ordinata vescovo e le altre hanno continuato il loro ministero: «Oggi sono quasi 300 le donne preti che, nel mondo, vivono la loro vocazione, anche se non sono formalmente riconosciute come donne ordinate cattoliche.

In particolare negli USA hanno fondato comunità indipendenti che celebrano il culto liturgico in chiese o edifici di altre confessioni, come i presbiteriani. L’estensione delle comunità va da una manciata di adepti a gruppi che possono competere con le parrocchie della diaspora nella Germania orientale. La situazione delle donne preti si è in qualche modo normalizzata come un rivolo parallelo rispetto alla Chiesa ufficiale. Il magistero non se ne occupa praticamente più».

Una delle ordinate, Ida Raming, ha detto nel 2019 alla radio tedesca «Non possiamo accettare dogmi fasulli». «Le donne ordinate esercitano un ministero ricco di Spirito e cristologico. È una ricchezza per la Chiesa anche se gli uomini della curia romana non lo vedono».

La loro vicenda conobbe un certo clamore. Delle sette ordinate, 4 erano tedesche, due austriache, una statunitense. L’età era fra i 46 e i 72 anni.

Tre anni prima erano partite in 12 con un ciclo di preparazione al ministero. Sul battello furono ordinate da un discusso e dubbio vescovo argentino, Romulo Braschi, e da un suo confratello da lui ordinato vescovo, F. Regelsbergher.

Il card. di Colonia, J. Meisner, considerò la scelta come insensata. Quello di Monaco, F. Wetter, lo giudicò un imbroglio settario e C. Schönborn di Vienna un atto patologico.

Ludmila e le altre

La validità sacramentale dell’ordinazione sarebbe apparsa più plausibile con un terzo ordinante, un vescovo clandestino cecoslovacco, Dujan Spiner, che non si fece vivo. Era uno dei vescovi ordinati da mons. Felix Davidek che, nel contesto dell’emergenza della persecuzione comunista, aveva provveduto a ordinare 68 preti e 17 vescovi. Nel caso di Spiner si poteva dubitare della legittimità, ma non della validità della sua ordinazione episcopale.

A Davidek rimonta anche la scelta dell’ordinazione di alcune donne, sempre giustificata dall’emergenza assoluta di una persecuzione di cui non si vedeva la fine.

Nonostante la “primavera di Praga” del 1968, il 25 dicembre il vescovo indisse un sinodo che, dopo un’aspra discussione, aprì la possibilità dell’ordinazione femminile (cf. SettimanaNews, qui).

Tre giorni dopo, Davidek ordinò Ludmila Javorova e, successivamente, altre tre donne perché si preoccupassero delle detenute.

All’inizio del 2022 è stato pubblicato il volume-intervista alla Javorova, ormai novantenne (Sacerdote nella Chiesa del silenzio) in cui lei racconta la vicenda, senza darvi un eccessivo peso e affermando di aver esercitato piuttosto un ministero di consolazione che liturgico.

Ricerca oltre gli sbarramenti

L’ordinazione femminile conosce uno sbarramento magisteriale pressoché assoluto dopo la dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede, Inter insigniores, del 1976, e la lettera apostolica di Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis (1994) che così conclude: «Pertanto, alla fine di togliere ogni dubbio su una questione di così grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza dev’essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».

E tuttavia la ricerca teologica non si è fermata, soprattutto sul versante della teologia femminista. Non può essere facilmente rimosso il peso delle altre confessioni cristiane, in particolare quella anglicana, che hanno aperto le porte alla ministerialità femminile, né il possibile sviluppo di una ancora non definita ordinazione diaconale per le donne in campo cattolico.

Il richiamo al parere della Pontificia commissione biblica del 1976 (alcuni escludono la possibilità dell’ordinazione femminile, «altri, al contrario, si chiedono se la gerarchia ecclesiastica, cui è affidata l’economia sacramentale, non potrebbe affidare i ministeri dell’eucaristia e della riconciliazione a donne in particolari circostanze, senza andare contro le intenzioni originali di Cristo») è spesso evocato.

I mutamenti culturali e sociali in Occidente riguardo al ruolo femminile e alla parità uomo-donna non smettono di interpellare la coscienza credente.

Hartmann conclude ricordando che papa Francesco non ha avviato alcun processo verso le donne preti e, per ora, neppure verso le diaconesse. «Il ché non cambia il fatto che le donne cattoliche ordinate continuino ad alimentare ministero e vocazione».

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