Sinodo: la voce delle Chiese italiane

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cei sinodo

Dopo l’articolo di Vinicio Albanesi “Sinodo: la (non) sintesi italiana” (cf. Settimananews, qui), anche l’autore di questo articolo dichiara «priva di mordente» la Sintesi presentata dalla Presidenza CEI alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi. Di positivo: la descrizione realistica in cui versa oggi la Chiesa italiana e l’avvio di una prassi sinodale.

La macchina sinodale è complessa e non è sempre agevole muoversi all’interno della sua articolata struttura, pensata per essere ripartita su un arco temporale di alcuni anni e su un quadro geografico che vede protagoniste, in prima battuta, le Chiese locali per poi via via dilatare lo sguardo al resto delle comunità cristiane nel mondo.

In ascolto delle comunità

Come saranno possibili questi passaggi e intersecazioni di piani e livelli, senza mortificare le intenzioni di fondo che ripetutamente sottolineano il desiderio di intercettare le storie e i vissuti concreti delle persone, è ancora tutto da sperimentare.

La tensione che alimenta la vera scommessa di una simile impostazione è rappresentata dall’ineludibile necessità di un lavoro che ha senso solo a condizione che esso si mostri capace di raccogliere istanze di comunità cristiane concrete, legate a una storia e a un luogo precisi, rileggendole, però, alla luce di alcune categorie teologiche fondamentali, non ultima quella della sinodalità, rispetto alla quale il Sinodo gioca la sua carta spirituale, e della situazione attuale delle Chiese – in particolare, per noi, le Chiese dell’Europa occidentale – che si trovano in una situazione di urgente discernimento.

Di certo, seppur con i tentennamenti dell’inizio, il Sinodo si è messo in movimento. È già un buon risultato, testimoniato dall’ottimismo della Sintesi nazionale della fase diocesana, documento che la Presidenza dei vescovi italiani (CEI) ha consegnato alla Segreteria generale dei vescovi lo scorso 15 agosto.

Si tratta di un documento di una decina di pagine in cui sono stati ripresi in forma sintetica i contenuti delle duecento sintesi diocesane, più le poche elaborate da altri gruppi, inviate alla CEI alla fine di giugno – per un numero complessivo di circa 1.500 pagine.

Il lavoro a livello diocesano ha coinvolto, a vario titolo, da quattro a cinquecentomila persone, raccogliendo l’impegno di questo primo anno durante il quale il mandato, chiarito in varie occasioni dagli addetti ai lavori, invitava a vivere l’esperienza fondamentale dell’ascolto e ad aprirsi alle sue profonde fecondità.

Fatiche e limiti delle realtà ecclesiali

La prima parte del documento (In ascolto del Popolo di Dio) dà conto proprio di questa impostazione del lavoro, basato sulla «conversazione spirituale» finalizzata non tanto al confronto di idee quanto all’ascolto dei vissuti.

Sono emerse fatiche e limiti delle realtà ecclesiali e «sono state registrate con lucidità alcune annose questioni che affaticano il passo: il clericalismo, lo scollamento tra la pastorale e la vita reale delle persone, il senso di fatica e solitudine di parte di sacerdoti e di altre persone impegnate nella vita della comunità, la mancanza di organicità nella proposta formativa, l’afasia di alcune liturgie». 

Il processo stesso di sinodalità ha reso possibile affrontare queste tematiche senza toni accusatori o di rivendicazione, ma in un clima di grande progettualità che ha coinvolto le équipes diocesane in tutte le loro componenti; il documento di sintesi non manca di sottolineare, per altro, che «non va sottaciuta la fatica a suscitare un coinvolgimento cordiale di una porzione non trascurabile del clero, che ha visto il Cammino sinodale con una certa diffidenza. In alcuni passaggi, inoltre, non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale, a cui il Cammino punta».

I dieci nuclei tematici

Nel secondo punto del documento (In dieci nuclei la varietà di accenti e sensibilità delle Chiese in Italia), le riflessioni emerse dalle sintesi diocesane sono state ordinate secondo dieci nuclei tematici (ascoltare, accogliere, relazioni, celebrare, comunicazione, condividere, dialogo, casa, passaggi di vita, metodo), da intendersi non come categorie astratte, ma come strumento e occasione di discernimento, anche nella prospettiva di individuare alcune priorità per il Sinodo dei prossimi mesi: «Ogni nucleo va inteso come una dimensione, una declinazione o un ambito del camminare insieme. In questo senso, i dieci nuclei non sono alternativi, ma complementari (…). La loro pluralità non rappresenta un limite da superare, attraverso un’operazione di omogeneizzazione o di gerarchizzazione, ma contribuisce a custodire il fondamentale pluralismo dell’esperienza delle Chiese in Italia». Interessanti alcune sottolineature.

Al punto 2.6 (Condividere) si sottolinea come la corresponsabilità sia il vero antidoto alla dicotomia presbitero-laico, giacché in una Chiesa che appare troppo «pretocentrica» i laici vengono spesso relegati ad un ruolo meramente esecutivo e funzionale, con il rischio, per altro, che anche i laici vengano a concepire la loro appartenenza alla Chiesa in termini di gestione di spazi di potere, sviluppando a loro volta forme di clericalismo. Emerge con chiarezza come l’emarginazione dei laici riguardi prevalentemente le donne: «ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare. Particolare attenzione va riservata a religiose e consacrate, che spesso si sentono utilizzate soltanto come “manodopera pastorale”».

Al punto 2.9 (Passaggi di vita), una sottolineatura interessante riguarda il tema della formazione: si ritiene imprescindibile una revisione, sia nei contenuti, sia nelle forme, della formazione iniziale e continua dei presbiteri, e un rafforzamento delle competenze delle laiche e dei laici impegnati nei diversi ministeri, anche attraverso la valorizzazione degli Istituti di scienze religiose, delle Scuole di teologia e delle Facoltà teologiche.

La parte conclusiva del documento (Dalle priorità ai «cantieri sinodali» per continuare a camminare insieme) mette in evidenza come il lavoro di questo primo anno rappresenti un’indicazione di cammino per il prosieguo del processo sinodale: : «Sempre in sintonia con il Sinodo universale, infatti, le Chiese in Italia approfondiranno la fase di ascolto, prestando particolare attenzione a crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, a sviluppare e integrare il metodo della conversazione spirituale, a promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati, a snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo».

Il rischio è che, data la complessità della situazione generale, questi propositi finiscano col risuonare come liste di proclami ben scritti, cui nessuno, però, crede più. La Sintesi è, in questo senso, priva di mordente.

La sinodalità come dimensione costitutiva

Forse può essere di qualche utilità mantenere vive alcune direttive di fondo. Ad esempio, il fatto che il lavoro della tappa diocesana – proprio in quanto lavoro di base – non può non incrociare la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa e della «Chiesa in uscita» e, perciò stesso, far tesoro e ricomprendere a fondo cosa significhi partire dalle Chiese locali, dalle singole comunità cristiane poste su un dato territorio. In questo luogo preciso si condensano questioni irrisolte che, se rimangono tali, possono compromettere le spinte al rinnovamento, laddove queste sussistono ancora.

Proprio a partire dal senso etimologico del termine Sinodo, che indica per la Chiesa la dimensione costitutiva del camminare insieme dei battezzati, non sembra azzardato pensare che, proprio qui, possa situarsi anche il sensum fidei fidelium, come indicatore di ciò che vive nello spazio di quanto è comune, al fine, altamente spirituale, di creare unità.

La differenza dei carismi trova spazio senza contraddizioni all’interno di tale unità. Per cui la sinodalità pare attrezzata per articolare quanto vi è di comune e quanto di differente in seno al popolo di Dio e, quindi, servire ad una ricomprensione dei legami tra l’universo dei battezzati, quello dei carismi, unitamente al senso della fede del popolo.

Il punto forte della categoria sinodalità risiede proprio nella sua ampiezza. Può essere utile a questo riguardo una rilettura della costituzione apostolica Episcopalis communio di papa Francesco (2018).

Camminare insieme, sinodalità, dare priorità alla vita… parole d’ordine che possono innervare il processo sinodale solo dal basso, solo nell’accoglienza da parte dei fedeli dell’invito di papa Francesco. Ascoltando tutti e ciascuno in risposta all’interrogativo fondamentale del Documento preparatorio (inizio cap. IV).

Non vi sono garanzie che il processo funzionerà, cioè non basta che il papa convochi un Sinodo sulla sinodalità perché questo possa andare a buon fine. Il criterio del nulla garantito a priori diventa, tuttavia, elemento di fondamentale importanza, perché, da un lato, fa appello alla libertà nella fede dei singoli fedeli chiamati ad appropriarsi, a fare proprio – letteralmente – l’appello del papa e, dall’altro lato, perché rispetta la natura dell’istituzione, la quale più che a garantire è chiamata a rendere possibile.

Questo è il punto preciso in cui si situa la proposta di Francesco, che invita a mettere la vela nel flusso della vita e lasciare che il cuore si allarghi grazie all’ascolto di coloro con i quali si è in cammino.

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