Lascio la Chiesa, ma senza perderla di vista

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Per molte persone, partecipare ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali dei membri della loro famiglia, significa essere cattolici ed essere nella Chiesa. Al di fuori di questi eventi particolari della vita, mi chiedo se queste persone siano alla ricerca di vivere una fede in Gesù Cristo e di viverla ogni giorno…

Oggi, avendo la secolarizzazione compiuto la sua opera, questa ricerca vitale non si pone quasi più. Si continua ad essere cristiani per adesione, ma non per convinzione. Scoraggiati, alla lunga, da una pratica priva di sapore, un gran numero di cristiani ha finito per gettare il bambino con l’acqua sporca. Per loro la Chiesa è diventata un ambito desueto destinato a scomparire tra qualche decennio.

Eppure alcune persone fanno ancora un percorso di fede, chiedono il battesimo e, senza giungere ad una pratica ecclesiale, interrogano i vangeli, scoprono la persona di Gesù e il suo messaggio universale d’amore di Dio e del prossimo.

Un percorso, tanti incontri

È proprio a seguito della domanda posta da un’amica ebrea verso l’età dei 16 anni: «Perché vai a messa?», che ho preso coscienza di non aver nessuna risposta da darle, perché mi è improvvisamente divenuto chiaro che credevo in Dio in maniera molto vaga e credevo ancor meno a quei riti fastidiosi durante i quali mi annoiavo fortemente aspettando che finissero. E mi chiedevo se tutte quelle persone (a quell’epoca le chiese erano piene) provavano lo stesso mio sentimento, di essere là per dovere, per assicurare la loro salvezza, perché si sosteneva ancora lo slogan: «Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza».

Poi ho cominciato a lavorare, ho fatto delle letture, quelle che la Chiesa proibiva o consigliava solo molto prudentemente. Ho fatto degli incontri, come quello di un giovane, ateo ma in ricerca, con il quale avevo occasione di parlare al di fuori del lavoro. Trovavo in lui una libertà che i credenti e le credenti assidui alle messe non avevano, essendo troppo sottomessi all’autorità e alla moralità ecclesiale.

Poi c’è stato il Concilio Vaticano II e quel giovane un giorno mi ha detto: «In realtà, quello che tu fuggi, è la chiusura della Chiesa su se stessa, sui suoi riti, sui suoi dogmi, ma il Concilio offre una reale apertura e non riduce più la salvezza ai soli praticanti. C’è un ritorno alle sorgenti che porterà un ringiovanimento della Chiesa». Era ancora il tempo della Speranza per la Chiesa, si parlava di quella primavera che avrebbe superato tutti gli inverni ecclesiali.

Dovevo quindi risalire alle sorgenti. Allora, ho intrapreso la lettura dei Vangeli e ho scoperto la Parola, ho scoperto che quella Parola era viva, inscritta da sempre nel più profondo di me stessa. Non ero più io che leggevo, ma qualcuno che mi parlava e mi dettava le parole a partire dalla mia lettura. Qualcuno sorgeva da quelle parole e mi apriva uno spazio di dialogo e di fede.

Semplicemente, incontravo Gesù Cristo. Ma non arrivavo a mettere in rapporto questo incontro con la Chiesa-Istituzione con tutti i suoi comandamenti, le sue proibizioni, i suoi sacramenti. Questo rapporto, non sono mai arrivata a farlo pienamente.

Ho cercato maldestramente di tornare verso la Chiesa, visto che era l’unico luogo che faceva riferimento a Gesù Cristo e all’universo che lui mi aveva aperto. Ma mi tornava in mente tutto un passato di gesti ripetitivi, di termini passivi, di leggi ambigue, perché, anche se c’era stato il Concilio, né i gesti né i preti erano cambiati. Solamente, il prete aveva cambiato posizione, non essendo più rivolto verso l’altare durante le messe.

Saint Luc, una comunità vivente

Così ho fatto «andata e ritorno» diverse volte per diversi anni, fino al mio incontro con la comunità Saint-Luc di Marsiglia. È stata una scoperta sconvolgente. Finalmente avevo scoperto un luogo dove si viveva realmente la Parola evangelica, dove «non si assisteva più» passivamente ma si «partecipava» con gioia e in verità.

Non si veniva più a cercare il cibo settimanale. Si faceva parte di una comunità in cui ciascuno diventava un membro attivo. Ci si poteva esprimere, anche se si usciva un po’ dagli schemi. Ci si poteva assumere delle responsabilità, incoraggiati dai preti accompagnatori. E la definizione che siamo tutti «sacerdoti, profeti e re» assumeva lì tutto il suo senso.

Credevo allora ingenuamente che questa esperienza si sarebbe estesa ad altre parrocchie e che ci sarebbe stato così un rinnovamento della Chiesa, una primavera, come si diceva allora. Ma non è stato così. C’erano preti che rifiutavano tale apertura, come se si togliessero loro delle funzioni. I giovani che portavano delle novità con la musica o l’espressione artistica erano respinti.

I tradizionalisti, con la conservazione del latino e il prete rivolto verso l’altare, tentavano di mobilitare i cristiani nostalgici del passato e prendere il sopravvento. E l’Istituzione, pur diffidando di loro, diffidava ancor di più della novità, della creatività, dell’assunzione di responsabilità da parte dei laici. Era una cosa sospetta, dava l’idea della setta e soprattutto toccava la perdita di un potere cristallizzato sull’eucaristia, ambito riservato ai soli preti maschi e celibi, e sui tabù della sessualità.

A poco a poco, quelle prese di posizione, le diverse encicliche da cui uscivano solo divieti fecero fuggire i giovani. Molti cristiani se ne andarono, la maggior parte allevarono i loro figli senza farli battezzare, dicendo che avrebbero scelto i figli stessi più tardi, ma senza orientarli verso la fede in Gesù Cristo o almeno verso l’esistenza di Dio. E l’ateismo prese allora il sopravvento su tutte le forme di fede. Le chiese furono così abbandonate, frequentate solo da poche persone anziane abituate a sottomettersi all’ancien régime.

La fede a costo dell’Istituzione

Per fortuna, la comunità di Saint Luc mi permetteva di vivere la mia fede. Ma sarebbe durato? Evitavo di pensarci.

È grave il rifiuto di cambiare, l’arroccamento dietro la «Tradizione» che porta al disprezzo e al rifiuto dei preti sposati («ridotti allo stato laicale»), alla scomunica dei divorziati-risposati. È grave l’espressione: «Piuttosto veder morire la Chiesa e i cristiani che rinunciare al nostro status gerarchico». È molto grave «preferire di salvare l’Istituzione piuttosto che il messaggio evangelico», anche se Gesù ha tenuto a fondare un’organizzazione attorno al suo messaggio: «Su questa pietra costruirò la mia Chiesa». Che cosa resta, se si salvano solo le pietre?

Gesù, invece, non rifiuta di cambiare o di rompere con la tradizione del suo tempo. L’episodio della Cananea che gli fa prendere coscienza della sua missione verso i pagani come verso gli ebrei, ci dice che anche noi siamo sulla terra per cambiare nel nostro modo di pensare, di accogliere la Parola, nel senso del meglio e del bene per gli altri.

Nell’episodio della donna adultera, Gesù non esita a prendere posizione contro gli scribi e i farisei. Non prende in mano nessuna pietra per lapidare la donna, ma si abbassa e con il dito si mette a scrivere sulla sabbia. C’è in quel gesto di non-violenza tutto il peso della riflessione e della rinuncia, non solo al giudizio, ma al sessismo e all’ipocrisia degli scribi e dei farisei. Per due volte fa il gesto di abbassarsi per scrivere sulla sabbia con il dito, come se la legge di Mosè dovesse essere riscritta, portata a compimento nel senso dell’amore e del perdono… Ed è ciò che inscrive nella sua mente, perché niente di importante si scrive sulla sabbia, soprattutto con un dito, a parte quella legge di lapidazione destinata ad essere cancellata.

Marco 10,9: «Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo deve separare». Certo, questo è stato detto, ma l’episodio della donna adultera mostra che ogni caso è particolare, che la situazione dell’uno è diversa da quella dell’altro. L’episodio della Samaritana è un altro caso particolare con quei cinque mariti del suo passato. Ma né l’una né l’altra sono state giudicate. Inoltre, Gesù non ha mai collegato la Cena a casi di ripudio che portasse all’adulterio. Solo con la lavanda dei piedi dirà (Gv 13,11): «Non tutti siete puri», avendo in mente il tradimento di Giuda. Eppure sarà offerto anche a quest’ultimo il pane inzuppato che mangerà in presenza degli altri discepoli. Gesù non collega quindi il tradimento di Giuda alla possibilità di prendere il pane e il vino, e tanto meno la collega ai divorziati risposati.

Si dice che i divorziati-risposati sono in stato di «peccato continuo». Ma siamo tutti in questo stato! Chi può affermare di non aver mai ripetuto i propri errori? La prova ne è che, di fronte all’immensità dell’amore di Dio, noi non possiamo che riconoscerci peccatori e questo vale per tutti. È sufficiente che ci rivolgiamo a Dio con le nostre debolezze aperte davanti a lui.

«Le porte dei sacramenti non dovrebbero chiudersi per nessuna ragione. L’eucaristia non è un premio destinato ai perfetti, ma un alimento per i deboli». È papa Francesco che dice questo, eppure nulla viene fatto in questo senso. Se l’Istituzione avesse ragione con il suo divieto, perché lo Spirito Santo si manifesterebbe nei divorziati risposati senza tener conto della loro situazione?

Per spirito di superiorità l’Istituzione ha soppresso le Assemblee domenicali in assenza di preti, col pretesto che tali riunioni di cristiani tendevano troppo a sostituire il prete assente nelle celebrazioni. Che peccato per l’Istituzione aver perso in questo modo l’occasione di incontrare lo Spirito Santo!

Ma perché i cristiani obbediscono? Troppo spesso si mettono dalla parte dell’Istituzione, vogliono un parroco come se fosse un’ancora di salvezza. Non hanno visto il pericolo, dietro questa ingiunzione dell’Istituzione, non hanno visto che essa nascondeva dietro la sacralità dei preti rifiutata da Gesù, una ripresa di potere a proprio favore?

Il fatto è che quei cristiani sono stati troppo «formattati» nella passività della sottomissione! Anzi, certi laici si arrogano il diritto di condannare perfino dei divorziati non risposati, mentre dei preti sarebbero inclini a maggiore indulgenza. Se non avessi conosciuto la comunità di Saint Luc che accetta tutte le situazioni, avrei fatto come un gran numero di cristiani, me ne sarei andata in silenzio perché l’Istituzione veicola troppe contro-testimonianze.

E adesso?

La comunità di Saint Luc è invecchiata nel frattempo, nonostante la nostra apertura a tutti, nonostante la corresponsabilità preti-laici vissuta in comunità, nonostante la creatività che l’ha caratterizzata. Tutto ciò che aveva costituito la nostra primavera è lontano dietro di noi. I più vecchi sono morti o in case di riposo, i giovani se ne sono andati con motivazioni diverse dalla Chiesa, spesso più vicini a scelte umanitarie, il che è comunque una buona cosa.

Visto il piccolo numero di chi è rimasto, Saint Luc rischia di chiudere, nonostante tutto ciò che abbiamo fatto per rendere la liturgia più viva. Ma è la liturgia il futuro della Chiesa? L’Istituzione rifiuta di prevedere un cambiamento per il futuro perché i vecchi demoni della Tradizione risorgono continuamente per opporvisi.

Matteo 22,32: «Dio è il Dio dei vivi e non dei morti». Non voler andare avanti verso maggiore vita e maggiore apertura nella Chiesa, significa andare indietro, e cioè scegliere il cammino che porta alla morte.

Lascerò Saint Luc con grande dispiacere, ma non andrò altrove, perché non posso accettare l’idea di ritrovare una Chiesa di prima del Vaticano II. Tuttavia, non perderò di vista la Chiesa, soprattutto nelle feste importanti, perché l’esistenza e il messaggio di Gesù li ho imparati da lei, anche se lei non li rispetta interamente. Il doppio comandamento dell’amore di Dio e del prossimo resterà inscritto in me forse a causa del mio battesimo, ma è anche inscritto nel mondo fino alla fine dei tempi. Resterà sempre la nostra bussola, di noi cristiani, anche se navighiamo senza poter trovare pace.

Conserviamo semplicemente in noi queste due parole che Gesù ci ha lasciato: Mt 24,35: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno!» e Mt 28,20: «Sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo».

E poi, chissà? Forse un giorno piccole comunità di laici rinasceranno come nei primi tempi della Chiesa e lo Spirito Santo, che si credeva definitivamente nascosto, risorgerà per nuove Pentecoste.

La testimonianza di Christiane Guès fa parte di un dossier del blog francese di informazione www.garriguesetsentiers.org (dossier n. 41, «Rester dans l’Église catholique?»). Il testo, che qui riprendiamo nella traduzione curata dal sito www.finesettimana.org, è stato pubblicato in francese lo scorso 14 giugno 2023. La comunità Saint Luc di Marsiglia, di cui si parla, è una associazione pubblica di fedeli retta da uno statuto approvato dal cardinale Robert Joseph Coffy nella Pentecoste del 1993 (cf. qui per ulteriori informazioni).

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19 Commenti

  1. Nuccio Cavone 21 giugno 2023
  2. Simone B. 21 giugno 2023
  3. Luigi Cerretelli 21 giugno 2023
  4. Luca 21 giugno 2023
  5. Valem Tucci 20 giugno 2023
  6. Adelmo Li Cauzi 20 giugno 2023
  7. Gabriella Burba 20 giugno 2023
  8. Apologetico Cattolico 20 giugno 2023
    • Elena Manzoni di Chiosca 21 giugno 2023
      • Anima errante 21 giugno 2023
      • Carmelina Olivari 21 giugno 2023
    • Giorgio Taverna 21 giugno 2023
      • Anima errante 21 giugno 2023
  9. Mario Campli 20 giugno 2023
  10. Gian Piero 20 giugno 2023
  11. Mauro Mazzoldi 20 giugno 2023
    • Anima errante 20 giugno 2023
  12. Gian Carlo Politi 20 giugno 2023
    • Beppe Manni prete 24 giugno 2023

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