CPR: psicofarmarmaci e violazione dei diritti

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psicofarmaci

Nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), come nelle carceri, si riscontrano violazioni assai gravi dei diritti della persona e dei codici di bioetica che regolano le relazioni di cura.

Nella nostra società è, da sempre, gravemente riprovato l’uso personale, a scopo di piacere, di sostanze sia del mercato legale – alcoolici e psicofarmaci – che di quello illegale – derivati da cannabis, eroina, cocaina, droghe sintetiche ecc.- in grado di alterare l’emotività, la percezione della realtà interna ed esterna, il funzionamento della mente, il ritmo veglia/sonno.

Alcune di queste sostanze, gli alcoolici per tutte, sono da millenni entrate nelle nostre diete alimentari e il loro consumo ritualizzato a tavola e nelle feste in genere. Quando la ricerca e l’assunzione di tali sostanze condiziona la vita quotidiana, vincolandola alla ricerca e all’assunzione delle stesse, si parla di dipendenza patologica, ossia di una condizione di malattia vera e propria.

Come quella dell’alcool, che è codificata da norme, anche l’assunzione di psicofarmaci – antipsicotici, antidepressivi, antiepilettici, regolatori del tono dell’umore, ansiolitici, ipnotici – è consentita solo da una prescrizione medica, che ne fissa dosi, orari, durata di assunzione.

L’ingresso di gran parte degli psicofarmaci nella farmacopea a partire dagli anni della Seconda guerra mondiale ha profondamente modificato l’impianto dei trattamenti dei disturbi mentali, consentendo la personalizzazione dei dosaggi, il controllo dei sintomi, la possibilità di associare il trattamento farmacologico a percorsi di integrazione sociale delle persone affette da patologie psichiatriche meno segnate dalla fatica e dallo stigma.

Oltre alle assunzioni a scopo di piacere personale e di quelle a scopo di cura, dunque, le stesse molecole, le stesse sostanze psicotrope, risultano essere usate e fatte assumere a scopo di sedazione, controllo e passivizzazione di persone che, di per sé, non soffrono di disturbi mentali e non sono dipendenti, al solo scopo di depotenziarle nelle libertà personali di pensiero e di azione. Questo senza o decisamente contro il loro consenso.

Nel dicembre 2023 scorso l’associazione NAGA e la rete No-CPR hanno pubblicato un rapporto in cui si denuncia il trattamento riservato a persone migranti, “irregolari” trattenute per mesi nei CPR, in particolare in quello di via Corelli, a Milano. Non solo: il 10 gennaio scorso il quotidiano Il Manifesto ha titolato «Trattati come scimmie. Inferno nel CPR di Palazzo San Gervasio (Potenza)», un articolo nel quale si documentava la somministrazione massiccia di Ritrovil, Seroquel, Tavor… psicofarmaci usati nel trattamento di disturbi mentali.

Per dare un’idea delle dimensioni di quanto accade – dalle ricerche dei NAS (Carabinieri) – è risultato che nell’arco del 2018 siano state somministrate 1.315 confezioni di Rivotril a scopo di «contenzione chimica» di persone recluse nel CPR, persone trattenute pur non avendo commesso alcun reato, ma che mal sopportavano la detenzione di fatto.

Non è certo impedendo il controllo sociale – e la diffusione giornalistica delle notizie – su quanto accade in strutture opache e inquietanti quali sono i CPR – ed istituendone di nuove al di fuori del territorio nazionale, in Albania – che il nostro Paese potrà mai far fronte alle difficoltà di trattamento delle persone migranti.

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