Il Maestro Nicola Sfredda, docente del Conservatorio di Mantova, membro della Comunità Valdese di Verona, risponde alle domande di Giordano Cavallari sulla concezione della musica e del canto liturgico in Dietrich Bonhoeffer. Nicola Sfredda è autore del volume La musica nelle chiese della Riforma (Claudiana).
- Maestro, dalla lettura dei testi di Bonhoeffer, quale ruolo del canto e della musica risulta per il rito delle chiese?
In Vita comune (Gemeinsames Leben), testo pubblicato nel 1939, redatto in occasione dell’esperienza di conduzione del seminario teologico di Finkenwalde nei pressi di Stettino sul Baltico (1935-37), Bonhoeffer lega la sua ricerca teologica alla vita comunitaria, intrecciata alla preghiera e alla meditazione biblica. In tale luogo egli portò persino il suo pianoforte – un Bechstein – e una raccolta di dischi, comprendente non solo canti liturgici classici ma anche spirituals conosciuti in America.
Nella comunità la giornata si apriva e si concludeva con la preghiera, la meditazione biblica ed il canto. Il Libro dei Salmi veniva letto con la formula della lectio continua. Tutte queste piccole liturgie comprendevano il canto corale. Anche prima del pranzo e prima dello studio pomeridiano era previsto un momento di canto comunitario.
Il canto era così importante nel pensiero e nella pratica spirituale di Bonhoeffer da alimentare la meditazione e la ricerca teologica.
L’importanza della musica è stata tale da suggerirgli una metafora musicale per l’interpretazione dell’intera Bibbia: egli, tuttora, ci parla di unità sinfonica della Bibbia.
Ci ricorda, col salmista, di cantare al Signore un canto nuovo: «Ogni mattina è il nuovo canto, che la comunità di persone che vivono insieme intona rivolgendosi a Cristo, al sorger del sole: il nuovo canto che si leva da tutta la comunità di Dio sulla terra e in cielo, a cui noi siamo chiamati a partecipare».
Aggiunge: «Le nostre parole pronunciate non sono sufficienti ad esprimere ciò che vogliamo dire, e l’oggetto del nostro canto supera di molto qualsiasi parola umana».
- La posizione di Bonhoeffer come si colloca nella tradizione luterana?
Il legame di Bonhoeffer con la tradizione musicale luterana è, evidentemente, molto forte, così come la sua apertura ai nuovi modi di esprimere la fede nel canto.
Un testo molto importante per la conoscenza del suo pensiero complessivo sono le lettere dal carcere di Tegel, nel quale fu rinchiuso nel 1943 a causa della sua attività contro il regime nazista: in italiano è pubblicato e noto col titolo Resistenza e resa.
Anche in queste lettere troviamo frequenti riferimenti alla musica: ai Meistersinger del Medioevo tedesco, ai Corali di Lutero e della tradizione luterana, ai Lieder sui testi del poeta secentesco Paul Gerhardt, alle opere del grande compositore barocco Heinrich Schütz, ovviamente a Bach e ad Haendel, ma anche ad autori molto più recenti.
Nel 1930, in viaggio a New York, dove era andato per frequentare un seminario teologico, apprezzò la coinvolgente vivacità della liturgia di una chiesa battista nera; si appassionò perciò al canto gospel.
La sua sensibilità musicale lo portò ad apprezzare il contenuto spirituale di autori “profani” quali, Hugo Wolf o Carl Orff. Amava la musica universale di Beethoven.
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- Qual è il canto liturgico “ideale” per Bonhoeffer?
Bonhoffer lo dice espressamente in Vita comune: «Nel canto monodico c’è un modo specifico in cui la parola e la musica sono collegate tra loro: la purezza del canto monodico, non alterata da motivi estranei di puro godimento musicale. La semplicità e la sobrietà, l’umanità e il calore di questo canto, ne fanno la forma più adatta all’espressione della comunità terrena».
Precisa anche che il repertorio classico (dal canto della chiesa antica ai corali della Riforma) è il migliore avvio per questa pratica, che poi può essere arricchita da ulteriori repertori, raccomandando lo studio di una ricca quantità di canti da imparare a memoria. A tal proposito cita spesso una pubblicazione di canti per la gioventù evangelica, pubblicato nel 1933 ed intitolato significativamente Ein neues Lied (Un nuovo canto).
Il Libro dei Salmi è indicato come il libro delle preghiere per eccellenza, cui dedica nel 1940 un breve testo, Il libro di preghiera della Bibbia. Introduzione al Libro dei Salmi (Das Gebetbuch der Bibe). Il canto dei Salmi si presta molto facilmente anche all’esecuzione antifonale e responsoriale, come ben sappiamo. In un suo passo, ricorda la grande suggestione ricevuta dal canto delle monache ascoltato a Roma, a Trinità dei Monti.
Il canto monodico a una voce, secondo Bonhoeffer, può, tuttavia, essere utilizzato anche come cantus firmus del canto polifonico a più voci: in tal caso diventa una metafora della chiesa, nella quale la pluralità delle voci si sostiene su un solo cantus firmus, che è il fondamento della fede.
- Qual è il ruolo dell’organo secondo Bonhoeffer?
Da quanto sopra, risulta una visione aperta al ruolo degli strumenti musicali nell’esperienza di chiesa dei credenti. Certamente l’organo, anche per Bonhoeffer, rimane lo strumento privilegiato per l’accompagnamento del canto liturgico e per la meditazione nella liturgia – ad esempio con Preludi-Corali e interludi – secondo l’antica tradizione comune tra Chiesa Cattolica e Luterana.
- Come la musica e il canto possono favorire la partecipazione, personale e comunitaria, al rito?
Il canto, per Bohhoeffer., è un mezzo che esprime la fede, perché coinvolge – da sé – tutta la persona: non solo la dimensione razionale, mediante le parole del testo, ma anche quella emotiva e, perciò, spirituale, in maniera completa.
Al tempo stesso, Bonhoeffer, avverte i rischi di una fruizione puramente emotiva e sentimentale della musica, come aveva già ben evidenziato Agostino: un rischio evidentemente avvertito da persone di grande sensibilità, quali erano entrambi. In fin dei conti, ciò che è bene perseguire nel canto è l’equilibrio nell’impiego delle varie facoltà umane.
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- Cosa è la bellezza nel canto liturgico?
Secondo me – e penso di interpretare anche il pensiero di Bonhoeffer – la bellezza nel canto non è necessariamente legata ad un unico e specifico stile, prodotto in un’epoca particolare, ma è la bellezza connessa, nella circostanza, all’atteggiamento interiore del fedele-orante: è questo l’atteggiamento orante che porta necessariamente al “decoro” liturgico musicale e canoro, escludendo, da sé, eccessi e manifestazioni non consone al culto.
- Ci può essere quindi gioia nel canto di chiesa?
Bonhoeffer lo esprime molto bene in una lettera dal carcere: «… una bellezza che non è né classica né demoniaca, ma semplicemente terrena, e che ha il suo diritto tutto proprio; personalmente devo dire che tutto il mio cuore batte per questa bellezza». Il canto è «espressione della gioia pasquale».
E, sempre, proprio dal carcere, scrive: «Ho pensato con nostalgia, da qui, al programma del concerto di Furtwängler. Spero di non disimparare in questo periodo il resto della mia tecnica. Qualche volta sento una vera e propria bramosia di una serata dedicata al trio, al quartetto o al canto. L’orecchio vorrebbe tornare finalmente a udire qualche cosa di diverso dalle voci di questo edificio».
La gioia che è data dalla comunione, dall’amore in Cristo. Musica e canto la esprimono in qualsiasi circostanza.
- Bonhoeffer ci è d’aiuto per individuare una comune via per il canto delle Chiese europee?
Credo senz’altro che l’apertura di prospettiva di Bonhoffer sia di grande aiuto, unita al suo rigore, quasi “severo”, nel determinare la vera bellezza del canto liturgico, come si intuisce da queste righe.
Il canto liturgico nelle chiese può essere senz’altro oggetto di un continuo rinnovamento, ma senza abbandonare – e tralasciare di coltivare – la tradizione storica propria di ciascuna Chiesa, coi canoni e col patrimonio di fede cristiana che ci è stato trasmesso.
Di fondo, abbiamo, in Italia e non solo, un problema molto serio di una educazione musicale di base, che non c’è o non è sufficiente. Anche le Chiese dovrebbero porsi seriamente il compito della formazione, perché l’espressione musicale e canora delle assemblee dei credenti sia più consona.