Guerra e pace in Medio Oriente

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L’assalto del 7 ottobre a Israele è stato alternativamente paragonato a Pearl Harbour 1941 (un attacco devastante in tempo di pace); allo Yom-Kippour 1973 (un attacco a sorpresa contro il Paese ebraico in occasione di una venerata festa ebraica – questa volta Simchat Torah, la festa della gioia della Torah); l’11 settembre 2001 (una massiccia aggressione terroristica contro i civili); e soprattutto, alla luce dei sistematici omicidi, stupri, torture, mutilazioni e rapimenti di ebrei in quanto ebrei, a prescindere dall’età o dal sesso, che Hamas ha pianificato e portato a termine, all’Olocausto.

Tuttavia, è necessario fare anche un quinto paragone: La notte dei cristalli del 1938. Il parallelo, in questo caso, non riguarda solo il pogrom che i nazisti scatenarono il 9 novembre di quell’anno contro circa un milione di ebrei nel Grande Reich (Germania e i territori da poco annessi dell’Austria e dei Sudeti), che portò alla distruzione, in poche ore, di quasi trecento sinagoghe e a centinaia di morti, per percosse o suicidio. Si tratta anche, e soprattutto, delle conseguenze del pogrom: la perversa tesi nazista secondo cui gli ebrei avrebbero “provocato” i disordini e quindi sarebbero stati responsabili collettivamente di una multa di un miliardo di Reischsmark.

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Ammettiamolo. La pars sanior dell’opinione pubblica mondiale (per lo più, ma non esclusivamente, nei Paesi a forte tradizione giudaico-cristiana) è rimasta inorridita dalle atrocità di Hamas, filmate e condivise trionfalmente in tempo reale sui social network dagli stessi autori, e successivamente confermate dalle testimonianze dei sopravvissuti e da prove forensi schiaccianti.

In effetti, la maggior parte dei governi occidentali o di stampo occidentale ha immediatamente appoggiato il diritto di Israele all’autodifesa contro Hamas. In effetti, le visite in Israele, proprio nel bel mezzo della battaglia, del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, del cancelliere della Germania, Olaf Scholtz, del primo ministro britannico, Rishi Sunak, del primo ministro italiano, Georgia Meloni, della presidente della Commissione europea, Ursula Van der Leyen, sono stati gesti di sostegno e simpatia senza precedenti e inequivocabili.

Tuttavia, questa pars saniro è una parte limitata e persino minoritaria dell’opinione mondiale. La pars insanior (se non stultior), molto più ampia, che si ritrova nelle numerose potenze revisioniste che sfidano l’ordine del post Guerra Fredda, e in una marmaglia di sistemi di governo che tendono a seguirle (circa due terzi delle duecento nazioni esistenti), ha semplicemente ignorato o negato il calvario di Israele.

Nessuna risoluzione è stata votata all’ONU, né al Consiglio di Sicurezza né in Assemblea Generale, per condannare Hamas; nessuna grande ONG per i diritti umani si è schierata con forza a favore degli ostaggi; pochissime autorità morali globali hanno denunciato il degrado, l’abuso e l’omicidio di donne e bambini israeliani. Al contrario, ciò che ha suscitato reazioni pronte e infuocate e risoluzioni dell’ONU è stata, incredibilmente, la risposta militare di Israele contro Gaza che, con un’inversione della verità e degli standard etici simile a quella del 1938, è stata definita “sproporzionata” o addirittura “genocida”.

È già abbastanza preoccupante che gran parte della comunità internazionale scenda così in basso e che così tante organizzazioni mondiali perdano in questo processo ogni vestigia di legittimità. È ancora più preoccupante – e inquietante – che lo stesso Occidente non sia del tutto immune dalla casistica della pars insanior.

Ciò può avere a che fare con la permanenza dell’antisemitismo; o con il peso crescente di particolari comunità di immigrati; o con la percezione à la Vichy che l’Islam radicale, per quanto sgradevole e spaventoso, sia l’onda del futuro e che debba essere placato o accomodato; o, in modo più profondo ma correlato, con l’estenuazione dei valori giudaico-cristiani, specialmente tra i giovani (sia in Europa che negli Stati Uniti, tra i non musulmani esiste uno stretto parallelismo tra il sostegno ad Hamas e la scristianizzazione).

Tuttavia, la ragione più comune per cui l’opinione pubblica occidentale potrebbe gradualmente allontanarsi da Israele è il “demone del bene”: la pura, anche se fuorviante, compassione per la popolazione civile di Gaza, che sembra essere intrappolata tra i belligeranti. Tale compassione potrebbe trasformarsi in pressioni su Israele affinché fermi la guerra troppo presto, aiutando così, involontariamente, Hamas a sopravvivere e a ricostruirsi.

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Secondo il diritto naturale e il diritto internazionale, così come si è sviluppato nel corso dei secoli, una nazione sovrana non ha solo il diritto di difendersi da aggressioni palesi, ma anche il dovere di farlo, in proporzione alla gravità dell’aggressione. Nessuna aggressione può essere più grave di quella del 7 ottobre.

Hamas è stato molto esplicito fin dalla sua nascita sui suoi obiettivi genocidi. Il suo statuto del 1988 dipinge gli ebrei, dentro e fuori Israele, come un nemico satanico e mondiale dell’Islam – cita sia gli insegnamenti islamici che i Protocolli degli Anziani di Sion per confortare questa descrizione e chiede il loro completo annientamento. Alcuni opinionisti hanno scartato questo manifesto come “teorico” e “utopico”, nonostante il fatto che l’intero sistema educativo e propagandistico di Hamas vi faccia costantemente riferimento e lo elabori, anche quando si rivolge al “nemico sionista”.

Nel 2014, i propagandisti di Hamas hanno diffuso un video musicale in ebraico sui social network israeliani, per raffigurare la prossima distruzione di Israele e instillare un senso di terrore tra i cittadini israeliani: “Su, fate attacchi terroristici… Eliminate tutti i sionisti… Bruciate basi e soldati… Demoliteli fino alle fondamenta… Sterminate il nido di scarafaggi…”. Questo, si legge retrospettivamente come un progetto dettagliato di ciò che Hamas ha effettivamente fatto nelle comunità del Negev occidentale due mesi fa.

Israele ha combattuto diverse battaglie importanti contro Hamas nel periodo 2007-2023, di solito come rappresaglia per il bombardamento su larga scala con razzi o missili di aree civili (che erano genocidi per natura, anche se la maggior parte delle bombe sono state intercettate dalla tecnologia Iron Dome).

La logica politica, militare e persino legale avrebbe richiesto in ogni singolo caso di porre fine all’organizzazione terroristica una volta per tutte. Lo Stato ebraico si è astenuto dal ricorrere a tali estremi, per molte ragioni: tra cui la preoccupazione per la popolazione civile palestinese di Gaza o almeno, come direbbero i cinici, per il clamore che sarebbe probabilmente scoppiato di fronte alle perdite dei civili – dal momento che Hamas aveva disperso le sue strutture militari in mezzo o sotto le abitazioni civili. Il 7 ottobre è stato comunque un’impresa criminale di tale portata che da quel momento in poi non si poteva pensare ad altro che al completo smantellamento di Hamas, a qualunque costo.

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La guerra – anche quella giusta – è un’attività che distrugge e uccide, ed è molto difficile prevenire, mentre si è in azione, le morti indesiderate. Nell’attuale conflitto, molti israeliani sono stati uccisi dal “fuoco amico”, compresi tre ostaggi fuggiti e scambiati per terroristi. Ciò che un esercito deve fare, secondo il diritto naturale e internazionale, è di non colpire mai deliberatamente i civili e, al contrario, di aiutarli sempre a lasciare la zona di combattimento.

I risultati dell’esercito israeliano in questo senso sono ben al di sopra di tutto ciò che i Paesi occidentali hanno fatto nelle loro guerre giuste, dalla Seconda Guerra Mondiale alle Guerre del Golfo fino alla campagna contro Daesh, lo “Stato Islamico” di Hamas in Siria e Iraq.

Potrebbe sembrare controintuitivo dirlo ora, ma una vittoria completa di Israele su Hamas sarebbe l’opposto di una sconfitta palestinese, araba o islamica. La terribile guerra iniziata da Hamas è stata, tra l’altro, un tentativo di ostacolare un’importante trasformazione regionale: il processo di pace abramitico avviato nel 2019 da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco – che stava per includere anche l’Arabia Saudita.

Mentre l’Islam radicale rifiuta ebrei e cristiani come infedeli in una visione del mondo a somma zero e paranoica, l’Islam abramitico li riconosce come fratelli e partner legittimi in una visione win-win. Indovinate quale opzione, nel lungo periodo, permetterà a Gaza di vivere e prosperare.

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