Persecuzioni e domanda di libertà

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Il 22 giugno è stato presentato il Rapporto 2023 sulla libertà religiosa nel mondo, elaborato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) ogni due anni.

Su 196 stati in 61 viene violata la libertà di culto. Contando la popolazione degli stessi, sono 4.9 miliardi (62%) le persone che vivono in contesti di libertà limitata. Fra queste, 307 milioni sono cristiane sottoposte a persecuzioni (secondo altre stime si arriva a 360 milioni).

Sono ormai vent’anni che i diversi rapporti sulla libertà religiosa indicano una sistematica crescita della persecuzione, in particolare verso i cristiani. «Durante il periodo in esame, la persecuzione intensa è diventata più acuta e concentrata, in un clima di crescente impunità». Su 61 paesi in 49 è lo stesso governo che opera la riduzione di libertà e, in 36, i persecutori non vengono mai puniti.

5 miliardi di persone a “libertà limitata”

La fondazione ACS produce una serie di studi sulle persecuzioni contro i cristiani, ma elabora anche il Rapporto sulla libertà di fede come diritto umano fondamentale per tutti. E, soprattutto, alimenta ogni anno circa 5.000 progetti di aiuto nelle situazioni di maggiore sofferenza e fragilità.

La modalità di rilevazione è divisa in tre categorie: i paesi “sotto osservazione”, la categoria “arancione”, in cui si rilevano discriminazioni verso i credenti, e quella “rossa”, in cui si registra una vera e propria persecuzione.

Alla prima, in cui si manifesta un peggioramento delle situazioni con episodi di discriminazione, appartengono, ad esempio, Argentina, Benin, Burundi, Indonesia, Madagascar ecc. Nella seconda, sono segnalati 33 paesi in cui vi sono leggi che violano la libertà religiosa. Essa accoglie tre nuovi arrivi: Haiti, Israele e Emirati Arabi Uniti. Nella terza si registrano 28 paesi in cui si constata una dura repressione, in taluni casi diversificata per ceti e aree geografiche. Ad essa si ascrivono i due paesi più popolati, Cina e India, e altre 26 nazioni, con una popolazione compressiva di oltre 4 miliardi (51%).

Il Rapporto conferma gli indirizzi complessivi già registrati. Gli attori delle persecuzioni sono il fondamentalismo islamico, l’islamismo statuale, il radicalismo religioso di stampo nazionalista, l’assenza dell’autorità dello stato con la criminalità diffusa o organizzata, la tradizione antireligiosa comunista, l’anticlericalismo statuale.

È in atto uno spostamento geografico dall’Asia e Medio Oriente all’Africa sub-sahariana e una ripresa delle violenze anti-cristiane in America Latina (cf. qui).

Il Rapporto insiste particolarmente sui governi autocratici nelle loro varie declinazioni: «A livello globale, il mantenimento e il consolidamento del potere nelle mani di autocrati e leader di gruppi fondamentalisti hanno portato a un aumento delle violazioni di tutti i diritti umani, inclusa la libertà religiosa». Gli autocrati statali «possono nascondere le proprie violazioni dei diritti sotto un manto democratico».

Ibridazioni sconvenienti

Ci sono alcune particolarità nel Rapporto che si possono sottolineare.

Anzitutto, i casi “ibridi” o di persecuzione “educata”, dove il governo mette in esecuzioni legislazioni anti-libertarie come la legge sulla blasfemia o quella anti-conversione coprendosi con l’autorità della maggioranza. Oppure con la scelta di non perseguire gli attacchi violenti contro le minoranze, garantendo impunità agli aggressori.

Stanno inoltre emergendo i “califfati opportunistici” dove la violenza del fondamentalismo islamico non persegue il possesso del territorio, ma ne produce la desertificazione con l’espulsione della popolazione attraverso singoli atti di violenza, spesso estrema. Lasciando terra bruciata, espone le aree ad altri interessi.

Prendono sempre maggiore evidenza i rapimenti e le violenze sessuali che includono la schiavitù sessuale e la conversione religiosa forzata. I rapimenti e il traffico di esseri umani sono stati alimentati dall’aggravarsi della povertà e dall’aumento dei conflitti armati in decine di paesi.

Se condotta su larga scala e per un lungo periodo, tale attività criminale contribuisce all’indebolimento delle minoranze, se non alla loro scomparsa. È un elemento di una più organica strategia di “costruzione delle minoranze”, non solo limitando le nascite, ma soprattutto indebolendo la loro rappresentanza politica e deviando sistematicamente il finanziamento statuale su altri gruppi.

Fornire in maniera stabile benefici materiali solo verso alcune comunità o ceti significa costruire minoranze marginali, esponendole alla violenza e alla persecuzione.

L’Occidente contribuisce in forma crescente all’aggravarsi della situazione anzitutto ignorando le situazioni di violenza antireligiosa e anti-cristiana per un pregiudizio laicista. Il silenzio della comunità internazionale davanti alle atrocità dei regimi autocratici strategicamente importanti ha alimentato una cultura dell’impunità. Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina e la tensione nel mar cinese meridionale hanno favorito la rimozione.

L’Occidente partecipa in termini diretti all’aggravamento complessivo, quando si introducono norme ispirate ad una antropologia in cui l’identità personale è “inventata” e non “riconosciuta”, obbligando in questo senso il discorso pubblico e condizionando gli aiuti internazionali al nuovo quadro culturale.

Due casi

Due casi possono essere utili per capire gli elementi di novità nell’ambito delle violazioni della libertà delle fedi. Il primo è quello del Nicaragua, che rappresenta l’emersione del tradizionale anticlericalismo latino-americano nella veste autocratica. Il secondo, che trova conferma in una recente lettera dell’episcopato, riguarda il Canada e la compressione vincolante del discorso pubblico lì perseguita.

Daniel Ortega, presidente del Nicaragua, ha mantenuto il suo potere autoritario incarcerando i leader dell’opposizione, emarginando gli esponenti della società civile, insultando le Chiese e chiudendo tutte le voci critiche (cf.: qui e qui). Dalla repressione delle manifestazioni antigovernative del 2018 alle elezioni truffaldine del novembre 2021, l’autocrate ha messo sotto pressione la Chiesa cattolica in particolare. Prima togliendo al nunzio il ruolo di decano del corpo diplomatico, poi decidendo la sua espulsione fino ad accusare la Chiesa di partecipazione alla preparazione di un colpo di stato.

Nell’arco di pochi mesi sono state chiuse due università (protestante e cattolica), cinque stazioni radiofoniche, centinaia di organizzazioni non governative, due centri televisivi. Oltre 400 gli attacchi a istituzioni cattoliche. Il fatto più clamoroso è stato l’arresto di mons. Rolando Alvarez e la sua condanna (febbraio 2023) a 26 anni di carcere. «Insieme a tutti gli altri diritti fondamentali, la libertà religiosa in Nicaragua è visibilmente peggiorata. Le prospettive sono ancora più scure».

Canada e Occidente

Molto diverso, ma ugualmente emblematico, il caso canadese. Vivere da cattolici sullo spazio pubblico. Libertà di religione e libertà di coscienza in Canada: è il titolo di una lettera pastorale firmata dalla Commissione episcopale per la giustizia e la pace il 22 giugno 2023.

Nel contesto di una società occidentale, prospera e democratica, i vescovi, riprendendo le intuizione di una lettera di dieci anni fa, puntano il dito su una preoccupante piegatura ideologica della laicità, per difendere la libertà dei cattolici e di tutti i credenti di affermarsi in pubblico con la propria fede.

«Un postulato postmoderno condiviso ed erroneo vorrebbe sacrificare la libertà di religione e di coscienza a vantaggio di una libertà di espressione e d’associazione più ampia». Separando il pensiero dagli atti, la coscienza dai comportamenti, si può ottenere maggiore omologazione pubblica, ma non maggiore libertà e democrazia. «Non si può esercitare realmente la libertà di religione e di coscienza senza manifestarla pubblicamente. Certo, siamo liberi nella nostra vita interiore, là dove incontriamo nostro Signore Gesù Cristo e dove siamo chiamati a partecipare alla vita della Santa Trinità. …

Ma la libertà di religione e di coscienza ci permette di manifestare pubblicamente la nostra fede attraverso il culto, la vita professionale e gli atti pubblici. È esattamente questa libertà pubblica che viene guardata sempre più come una minaccia da un laicismo radicale e dall’etica relativista che l’accompagna». È in atto un passaggio dalla laicità “aperta” a una laicità “chiusa” o ideologica.

Norme morali recentemente riconosciute dalla società laica, come la libertà di aborto senza restrizioni, la libertà assoluta di ogni espressione sessuale (identità di genere) o l’eutanasia a comando non sono condivise da molte fedi a cui si impedisce di manifestarlo. Si costringe in tal modo a privatizzare la fede per renderla accettabile nello spazio pubblico. Per essere perfettamente laica la società finisce per essere impositiva e per spegnere il pluralismo.

Una tale tendenza favorisce il declino del discorso pubblico capace di senso e, all’intero delle fedi, favorisce l’estremismo e il radicalismo. «Con il pretesto di non privilegiare alcuna religione, le amministrazioni alimentano talora una laicità chiusa che non permette la presenza di alcuna attività o segno riconoscibile nelle istituzioni civili. Si giunge così ad imporre, nelle istituzioni che si riconoscono ancora come cattoliche, programmi o pratiche che sono esattamente contrari all’insegnamento della Chiesa cattolica e alla vita di fede dei fedeli cattolici».

Laicità chiusa e discorso obbligato

Quello che i vescovi canadesi chiamano “laicità chiusa” il Rapporto ACS indica come “discorso obbligato”. «Negli ultimi decenni, le culture occidentali hanno assistito a un’ondata crescente di nuove norme e concetti antropologici, sempre più invocati come diritti umani basati su valori di tolleranza e uguaglianza. Molti di questi nuovi concetti sull’essere umano non soltanto hanno iniziato a ridefinire l’identità nazionale e la politica estera di diversi paesi dell’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), ma in alcuni casi hanno portato all’introduzione di leggi, come quella sull’incitamento all’odio, volte a far valere e radicare a livello giuridico questi concetti come nuovi diritti…

I diritti tradizionali delle libertà di pensiero e di religione diventano marginali quando le espressioni delle convinzioni religiose sono classificate come espressioni di odio, e quindi come un qualcosa da denigrare o punire».

Rimane in ogni caso da affermare la profonda diversità fra persecuzione violenta e impositiva rispetto ai condizionamenti di quella che si può chiamare “cristianofobia occidentale”. Non è saggio vedere una continuità delle due situazioni laddove si impone anche una evidente diversità.

Che la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, abbia portato il suo saluto alla presentazione del Rapporto è apprezzabile per il distanziamento dalla sua tradizione illiberale. Non altrettanto il silenzio del centro-sinistra che regala alla destra uno dei temi centrali per il futuro democratico.

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