La recente pubblicazione degli Atti del XXXVIII Congresso nazionale dell’Associazione Teologica Italiana (Villa Cagnola, Gazzada Schianno –Varese 28 agosto/1 settembre 2023 sul tema Pensare il Figlio di Dio 1700 anni dopo Nicea), a cura di Jean Paul Lieggi e di Leonardo Paris, si inserisce nell’attuale ricchissima e feconda produzione di studi e testi, unitamente a celebrazioni di convegni a vario livello, dedicati sia al Concilio di Nicea sia al dogma cristologico formulato da quel Concilio. Il volume, con una introduzione curata dal Presidente dell’ATI Mons. Riccardo Battocchio (da poco neo eletto vescovo di Vittorio Veneto) e una conclusione a cura di Jean Paul Lieggi, si articola in cinque parti, ciascuna dedicata alle singole sezioni dello stesso Congresso.
La sorpresa, dopo avervi partecipato e avere a disposizione il volume degli Atti, mi sembra possa venire offerta dalla metafora degli orologi asincroni: non solo a latitudini diverse segnano ovviamente ore diverse ma talvolta segnano ore diverse anche alla stessa latitudine. Se infatti leggiamo gli Atti a partire dagli ultimi due interventi (raccolti nella quinta e ultima parte del volume), il dogma niceno a partire dalla Cina (G. Criveller) e dal Giappone (R. Viviano), ci accorgiamo che i 1700 anni trascorsi dal 325 d. C. pesano in modo diverso per quanto riguarda la comprensione ed elaborazione delle cristologie oggi. Questa asincronia, rispetto alle altre letture dello stesso tema nelle parti precedenti del volume, può promuovere un felice spaesamento utile a dirottare il “pensare” cristologico (pensare il Figlio di Dio!) in direzioni tra loro molto diverse e allo stesso tempo particolarmente provocatorie per lo stesso “pensare” elaborato nei quadri delle culture e delle teologie del mondo occidentale.
Invitiamo così il lettore a partire dalla fine per risalire la china di un percorso in cui la fatica del concetto va messa in conto per arrivare con fair play a (ri)gustare i due saggi che, in chiave introduttiva, si trovano all’inizio del percorso e ne costituiscono la prima parte (E. Falque e E. Prinzivalli). La domanda che possiamo tenere con noi come un cantus firmus, in questa odissea più sulla scia dell’Ulisse di Joyce che di quella di Omero, mi pare ben formulata da J. P. Lieggi nella conclusione: «In altre parole, ci si dovrebbe chiedere: come “tradurre” oggi l’ὁμοούσιος di Nicea senza abbandonarlo?».
Il Congresso è rimasto fedele a questa domanda e ne ha svolto alcuni possibili tentativi di risposta aprendosi ad una serie abbastanza inedita di prospettive o meglio raccogliendo prospettive già emerse nel più ampio dibattito filosofico e teologico contemporaneo per farle convergere nella ricomprensione del nucleo incandescente della formulazione dogmatica definita a Nicea. Da questo sguardo multi focale di interrogazioni l’effetto che se ne riceve è analogo a quello di una sorta di ridiscussione su molti versanti del plesso concettuale e dogmatico del dogma niceno, alla maniera di un fuoco amico.
Per proseguire il percorso dalla fine del volume (la quinta parte e le conclusioni), si entra nella quarta parte con uno scenario diverso da quello dell’Oriente (Cina e Giappone). I contributi toccano una rilettura critica di due questioni aperte del dibattito cristologico quali la singolarità/individualità di Gesù di Nazaret (A. Caputo) e la sua parzialità (M. Mariani).
L’orologio del nostro viaggio va resettato su nuove latitudini ermeneutiche che toccano il tema della decostruzione del soggetto e della sua storicità e contingenza, con una evidente ricaduta non solo per la comprensione dell’umanità di Gesù ma, con Nicea, della sua stessa divinità, rammentando che il dogma niceno si colloca al crocevia tra cristologia e teologia trinitaria proprio per l’affermazione della identica «sostanza» tra il Padre e il Figlio. Non deve stupire che il bagaglio concettuale in questa fase del percorso sia invitato a caricarsi di tutta una serie di nuove acquisizioni e che probabilmente si potrebbe (dovrebbe?) alleggerire di altre acquisizioni troppo legate alla ontoteologia classica, in primis il concetto di sostanza. Il dogma niceno risulta messo seriamente alla prova nella sua tenuta non solo dottrinale ma semantica ed esistenziale per l’oggi della fede.
Nella terza parte il confronto con le categorie di eternità e temporalità porta il livello del discorso dalla dimensione storica a quella intradivina o meglio intratrinitaria. Anche in questo caso due saggi disposti a presentare nuovi percorsi concettuali per dire il mondo di Dio a partire dall’evento temporale dell’incarnazione. L’attenzione è rivolta a due polarità cristologiche e allo stesso tempo antropologiche, quella del rapporto tra tempo e ontologia (A. Bergamo) e quella del rapporto tra libertà dell’uomo e quindi di Cristo e libertà del Dio unitrino (L. Paris). Il progetto abbozzato in modo sperimentale si presenta come molto provocatorio per la ragione alle prese con il tentativo katafatico di dire Dio in e a partire da Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Che ne è in questa duplice luce del «consustanziale»? Una seria messa in discussione ma anche una sua acuta ri-valorizzazione. Si evita così di cadere nel torpore di un magico ed incantato apofatismo per ricalibrare sia la forma katafatica come quella apofatica nell’alveo dell’analogia dispiegata questa volta su nuovi fronti (non solo quello della «sostanza»).
Arriviamo finalmente alla seconda parte con due saggi in contrappunto: da una parte la proposta di una ritessitura dell’ordito cristologico niceno alla luce di alcune nuove proposte di ontologia della relazione (D. Migliorini), dall’altra un recupero accurato e aggiornato del pensiero cappadoce (quello dei due Gregorio in particolare) per verificarne tutta la sua pertinenza per l’oggi della fede cristologica e trinitaria (G. Maspero). E qui l’orologio pur nella stessa latitudine segna ore diverse.
L’approdo ad Itaca, terminato il periplo, ci porta alla prima parte con i saggi introduttivi di cui si è già detto più sopra. L’ipotesi di potersi riposare va tuttavia delusa, alla fine del viaggio di ritorno la fatica del concetto è messa nuovamente sotto pressione per ritrovare possibili convergenze, differenze e divergenze tra gli inizi, già ricchi e problematici (E. Prinizivalli), e i suoi possibili esiti attuali (E. Falque). L’invito posto da J. P. Lieggi con la sua domanda finale può rappresentare una buona bussola per il lettore, per l’orologio l’asincronia può giovare per non guardare le cose sempre e solo dalla stessa latitudine.