Chiesa, società e religioni: il dialogo necessario

di:

salvarani

Si avvia alla sua seconda edizione il Corso di Alta Formazione in «Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali», promosso dall’ISSR «A. Marvelli», delle diocesi di Rimini e di S. Marino-Montefeltro, congiuntamente all’Università degli Studi di San Marino (cf. qui su SettimanaNews). Abbiamo posto alcune domande al teologo Brunetto Salvarani, docente del Corso di Alta Formazione, dove tiene un corso su «Cristianesimo e dialogo interreligioso». 

  • In questo primo quarto di XXI secolo, dopo aver più volte convocato la clamorosa «morte di Dio», declinandola a seconda dei diversi ambiti che intrecciano il discorso pubblico, si assiste oggi alla sua problematizzazione, soprattutto perché, nei vari conflitti che continuano a funestare il pianeta, l’incidenza politica della questione «Dio» si ripropone con ineludibile drammaticità. È ancora possibile parlare di dialogo fra le religioni, o è questione che può ormai riguardare unicamente (eventualmente) la mistica?

Per quel che vedo, negli ultimi anni ci si riferisce comunemente, sempre più di frequente, alla conclamata crisi delle chiese, limitandosi a leggerla in chiave funzionale, sociologica o antropologica. In realtà tale crisi presenta una connotazione fortemente teologica. In altri termini: la crisi acuta delle chiese di questo nostro tempo incerto ed etimologicamente apocalittico, cioè rivelativo, mi pare sia riflesso e conseguenza diretta della crisi dell’immagine di Dio, e – alle nostre latitudini – tanto dell’immagine del Dio della tradizione giudaico-cristiana quanto del pur straordinario immaginario che vi è collegato (incomprensibile a chi di Bibbia e religioni non sa nulla, purtroppo). Per una cifra consistente, oltre che crescente, di nostri contemporanei abitanti di ciò che chiamiamo Occidente, in effetti, l’immagine di Dio è passata da essere naturale, familiare e prossima a una sorta di reliquia del passato, del tutto estranea alla cultura moderna: una reliquia nebulosa, e nella maggioranza dei casi impersonale e apatica.

Johann Baptist Metz, uno dei più grandi teologi del post Concilio, ideatore fra l’altro della teologia politica, pur ritenendo la decadenza strutturale e la debolezza diffusa nelle chiese e comunità cristiane una questione dirimente, ha ripetutamente sottolineato che ancora più rilevanza sta oggi acquisendo la crisi di Dio. Con un ulteriore paradosso a complicare il quadro: il fatto che tale crisi non si manifesta facilmente, perché a sua volta essa si collega spesso a un’evidenza religiosa. Fino a spingere lo stesso Metz a parlare di crisi di Dio in un’epoca religiosamente entusiasta… Tanto entusiasta che, innegabilmente, la declinazione etnico-religiosa delle guerre in corso, dall’Ucraina a Israele, emerge palesemente.

Anche se quelle ivi coinvolte sono le religioni che il sociologo Olivier Roy definisce «le religioni della santa ignoranza», strumentalizzate dal leader politico di turno e utilizzate per giustificare la violenza sistematica cui si ricorre costantemente. Ecco perché è fondamentale possedere gli strumenti critici per decostruire la narrativa della paura che oggi viene messa in campo, analizzando la Bibbia in chiave storico-critica e non mitico-identitaria; ed ecco perché non solo è possibile, ma è necessario, lavorare sul dialogo interreligioso. Anche se, certo, non è proprio un momento favorevole per quanti si impegnano in questo ambito…

  • Il suo ultimo libro si propone nello spazio pubblico del confronto culturale con un titolo assai provocatorio: «Un percorso difficile anche per Dio». Scritto dopo l’aggravarsi della situazione in Medio oriente, a seguito dei fatti del 7 ottobre 2023, sembra ai più ancor più urgente cercare di comprendere il contributo delle religioni e la loro convergenza nell’orientarsi in direzione di una fraternità universale pacificata. In merito a ciò qual è il potenziale di grazia, racchiuso nei vasi di creta delle varie esperienze religiose e che attende di essere messo in circolo a favore di tutti/e? Quali possono essere, in questo senso, i principali ostacoli al dialogo tra ebrei, musulmani e cristiani e, in generale, al dialogo tra fedi diverse?

È evidente che dal 7 ottobre 2023 – giorno della mattanza di ebrei in Israele da parte di Hamas (la più grave dopo la Shoah, si è detto e scritto a ragione) – i processi dialogici fra ebrei e cristiani (e musulmani, di lato) si sono maledettamente complicati, messi duramente alla prova, come mai finora, mostrando tutte le loro gracilità e vulnerabilità. Nulla sarà come prima, ma andremo avanti.

Bisogna andare avanti, e non farsi prendere dallo sconforto… Lo dobbiamo a quanti ci hanno preceduto in questa strada, e alle generazioni che verranno dopo di noi. E soprattutto, non dimentichiamolo, si tratta di una buona causa, una causa giusta. In una manciata di ore è cambiato radicalmente lo scenario in cui si muove chi opera nel campo delle relazioni cristiano-ebraiche, tanto da richiedere un autentico salto di qualità rispetto al passato, a sei decenni dalla fine del Concilio: ma senza buttare via il grande lavoro fatto sinora, evidentemente. I segni di speranza non mancano.

Notevoli sono stati gli effetti della dichiarazione conciliare Nostra aetate (1965), documento a un tempo modesto e profondamente innovatore, come si disse allora, nonostante gli aspetti che, negli auspici dei padri conciliari più sensibili, apparvero già all’epoca ancora ambigui, sfuocati o disattesi. Bisogna peraltro ammettere che, volendo stilarne un reale bilancio, in questo caso un sessantennio è uno spazio di tempo ampio ma anche limitato, e ancora insufficiente a estirpare dalla teologia e dalla mentalità cattolica diffusa i normali e radicati atteggiamenti di antigiudaismo e chiusura identitaria, soprattutto se riandiamo a quale fosse prima del Vaticano II lo standard dei rapporti fra ebrei e cristiani.

Sì, il processo appare a tutt’oggi in progress, e tanta strada si dovrà fare ancora per giungere a un livello pienamente accettabile di essi, ma sarebbe ingeneroso negare che, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica, un tratto di cammino è stato percorso. Penso sia stato il tratto più arduo, perché compiuto dopo quasi due millenni di assolute incomprensioni, di teologia sostituzionista (la Chiesa rilettasi vero Israele contro il falso Israele storico!), di clamorose discriminazioni e persino, com’è noto, di aperte persecuzioni.

Con uno slogan: dobbiamo ripartire da Nostra aetate, per andare oltre Nostra aetate! Non credo che ora siano stati spazzati via anni di dialogo, ma ritengo siano stati messi alla prova, come in un crogiolo. Le conquiste fatte, le visite dei papi in sinagoga, l’impegno di base per estirpare i pregiudizi antiebraici o per favorire la comprensione di cosa significhi davvero l’ebraicità di Gesù, gli studi e i colloqui non possono essere annullati, fortunatamente.

Anzi, da parte mia sostengo che dalla crepa venutasi a creare – di cui esistono parecchi indizi – potrà filtrare una luce inedita, se chi ne è coinvolto troverà la forza di mettersi in gioco realmente. E di inchinarsi di fronte al dolore dell’altro, onorando l’autorità delle vittime e dei sofferenti: di tutti, non solo di quelli dalla nostra parte. In altri termini: si capirà chi davvero crede in questo dialogo, chi davvero ha intenzione di mettersi in gioco. Sapendo che potranno esserci anche dei prezzi da pagare: una riflessione che propongo in primo luogo alla mia Chiesa.

  • Veniamo più direttamente al suo insegnamento – «Cristianesimo e dialogo interreligioso» – svolto con grande apprezzamento anche presso l’ISSR “A. Marvelli”. Quali sono i punti di maggior interesse, a suo giudizio, essendo incardinato nel Corso di Alta Formazione in «Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali» promosso dal Marvelli congiuntamente con l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino? Soprattutto per rapporto alla specificità d’indirizzo nel panorama delle analoghe offerte formative circolanti sul territorio italiano…

Parto dai fondamentali: fare teologia significa coltivare sapientemente la notizia evangelica di Dio in chiave di mediazione culturale della fede (fides quaerens intellectum è la formula di Anselmo d’Aosta). La teologia sgorga da esperienze ecclesiali e da vissuti di fede che ne rivelano la presenza nella storia umana: essa, però, sin dagli albori ha scelto di non arrestarsi alle soglie della comunità cristiana, pensandosi come accompagnamento delle esistenze nei territori comuni delle vite e nelle loro forme istituzionali. Anzi, quelle soglie, nelle stagioni più aperte alla profezia, le ha decisamente varcate, per travasarsi in dimensioni più ampie del vivere e della cultura, senza paura di sporgersi all’esterno, in partibus infidelium: ed è lì che si è messa alla prova la sua utilità per la fede stessa.

Infatti, la pastoralità – intesa come la modalità con cui la comunità cristiana opera nel qui e ora per annunciare, celebrare e testimoniare il vangelo della pace (Ef 6,15) – non è un’aggiunta esterna all’impresa teologica, ma una sensibilità di fondo che andrebbe coltivata come responsabilità ecclesiale e culturale del teologo e della teologia. Un habitus derivante dalla consapevolezza che ogni suo discorso e pensiero sono rivolti all’umano di oggi e calati in specifici contesti: se manca ciò, si fa accademia, non teologia.

È decisivo che lo sguardo dei teologi e di chi studia teologia si spinga oltre i propri recinti protetti, volgendosi alle condizioni di quel tempo storico cui il Dio di Gesù intende essere contemporaneo: con tali condizioni la teologia è chiamata a rendersi familiare, proponendosi con un carattere pubblico e sociale; e giocandosi in una dimensione il più possibile ecumenica e interreligiosa.

Questa, direi, è la scommessa avviata già da qualche anno dall’Istituto «Marvelli» con il Corso di Alta Formazione: per quel che posso cogliere, con risultati decisamente incoraggianti. La strada è aperta, bisogna proseguire sul solco tracciato e lavorare per consolidare ulteriormente una proposta teologica coraggiosa quanto necessaria… Con l’augurio che tanti, dagli operatori della pastorale ai semplici curiosi, scelgano di accettare la sfida, quella di rimboccarsi non solo le maniche ma anche il pensiero. Quel che è certo è che non se ne pentiranno!

Le iscrizioni al corso sono aperte fino al 31 gennaio e si raccolgono ai recapiti della segreteria.

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