L’equivoco sul “politico”

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Anni addietro, l’ex presidente argentino Carlos Menem, inquisito, ebbe a dire: “solo gli uccellini finiscono in gabbia”. Beffeggiando in tal modo lo Stato di diritto e le sue procedure. Scorgo un atteggiamento simile in Donald Trump, che sembra irridere e fare la parodia di quelle stesse procedure, forte dei sondaggi demoscopici.

Qui occorre prontamente rilevare un equivoco. Troppe volte posizioni del genere vorrebbero far leva sull’idea del politico, in particolare su quella di Carl Schmitt, nella sua forma volgarizzata, per la quale la tensione amico-nemico si tradurrebbe nella vacuità e nell’inconsistenza delle regole e delle leggi formali, quasi fossero specchi per le allodole. Così non è: il pensatore, al contrario, nota, con altri, che “la legge (o il diritto) è politica divenuta stabile; la politica è legge (o diritto) in formazione; la prima è statica, la seconda dinamica”.

Vi è un’intima tensione e compenetrazione fra i due aspetti, come pure una loro dialettica irrisolta (lo spiegava mirabilmente Biagio de Giovanni, riguardo proprio a Kelsen e Schmitt). Ma, elogiando rozzamente un malinteso “primato del politico”, si rischia di retrocedere a uno stadio prepolitico. Socrate, la cui filosofia è concepibile solo nella polis, dunque è eminentemente politica, nel Critone giunge a considerare le leggi, che pur lo avevano portato alla condanna capitale, non come semplici espressioni di un contratto, bensì come parti contraenti, con la dignità di persone. Da qui l’accettazione del proprio sacrificio.

E la prepotenza esercitata in nome del “politico” rischia, come rilevato con acume, ancora una volta, da Jacques Derrida, di declinarsi al maschile. Oltre ai femminicidi, nelle ultime ore, infatti, si succedono con frequenza preoccupante le notizie di stupri, spesso a danno di ragazzine.

Ecco, non solo qui vi sono la “copertura” psicologica e il senso di deresponsabilizzazione offerti dal “branco”, no. Vi è pure una concezione riassumibile nella frase di Menem: chi può davvero finire “in gabbia”? Chi è davvero imputabile o colpevole? Elogio della vigliaccheria. In tali situazioni si sfrutta l’inevitabile complessità delle faccende umane per rendere indistinguibili vittime e carnefici, coloro che versano il sangue e coloro che ne provocano il versamento.

E tutti siamo più o meno preda di tentazioni del genere. Quante volte, poniamo, dinanzi alle cronache dei figli di persone potenti autori di violenza sessuale, abbiamo sussurrato, fra noi e noi, “vabbè, sono ragazzate”? Salvo scagliarci contro gli immigrati stupratori, che abusano “delle nostre donne”. Parole – e idee – che si commentano da sole. La violenza resta violenza, chiunque ne sia il responsabile.

Esempi drammatici e, insieme, eloquenti di cosa significhi declinare “il politico” in maniera erronea e superficiale oppure solo al maschile.

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