Il governo della Chiesa

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Dal giorno in cui è entrata in vigore la costituzione apostolica Praedicate Evangelium si è aperto un nuovo capitolo mediatico – e non solo mediatico – di grande rilievo: la diffusione delle voci e illazioni sulle imminenti dimissioni di papa Francesco.

C’è un nesso? Può darsi un nesso tra la promulgazione di questa costituzione apostolica e la diffusione di voci di una conclusione imminente del pontificato di Francesco, attesa e quasi annunciata per i giorni di fine agosto, quando si svolgerà il prossimo Concistoro?

Concistoro e Perdonanza

Il papa ha annunciato il nuovo Concistoro con queste parole: “lunedì e martedì 29 e 30 agosto si terrà una riunione di tutti i cardinali per riflettere sulla nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium e sabato 27 agosto terrò un Concistoro per la creazione di nuovi cardinali”. In mezzo ai due giorni citati ci sarà il 28 agosto: in quel giorno Francesco si recherà all’Aquila dove, primo papa della storia, presiederà la festa della Perdonanza.

Francesco prima visiterà il duomo, ancora chiuso per il terremoto, saluterà i familiari delle vittime del sisma e poi celebrerà nella basilica di Santa Maria in Collemaggio, aprendo la porta santa fatta costruire nel 1279 da Pietro da Morrone, il futuro Celestino V, proclamato papa proprio là, unico papa a non essere stato proclamato a Roma. Celestino V è anche noto come il papa del “gran rifiuto”. Perciò molti hanno ingenerato la seguente idea: Francesco si dimetterà nella Basilica di Celestino V.

Dunque, nel bel mezzo della programmata assise mondiale sulla riforma attesa da anni della curia, il papa penserebbe di dimettersi, dall’Aquila, dalla basilica di Celestino V? Ma Celestino non può essere noto solo per le sue dimissioni. Durante i quattro mesi del suo pontificato, il 29 settembre 1294, ha promulgato la bolla pontificia Inter Sanctorum Solemnia con cui concedeva l’indulgenza plenaria a tutta l’umanità, senza alcuna distinzione.

Ciò ricorda l’indulgenza plenaria concessa da Francesco dalla basilica di San Pietro il 27 marzo 2020, quando ebbe luogo l’indimenticabile cerimonia all’inizio della pandemia. La bolla di Celestino introduceva i concetti di pace, solidarietà e riconciliazione. Il perdono era per tutti, per chiunque fosse entrato in basilica, dai vespri precedenti la memoria del martirio di san Giovanni Battista a quelli successivi, quindi dal 28 al 29 agosto, ogni anno, alla sola condizione di essere veramente penitente e confessato. Il martirio di san Giovanni Battista è ricordato il 29 agosto.

C’è molto di suggestivo in tutto ciò. Naturalmente io non so cosa dirà Francesco, ma non penso proprio che parlerà di dimissioni. La costituzione apostolica sarà al centro dei lavori di tutto il collegio cardinalizio sulla curia romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo. C’è e ci sarà ancora molto presumibilmente una guerra in corso che sta già sgretolando il mondo, la cui unità sembra di nuovo letteralmente minata in radice nella sua vocazione alla fraternità universale, in cui Francesco crede per fede profondamente cristiana.

C’è e ci sarà un sinodo sulla natura sinodale della Chiesa che desidera indicare al mondo la bellezza, oltre la necessità, di camminare insieme. E c’è e ci sarà una Chiesa piena di problemi. Proprio in quel momento Francesco parlerà dunque di dimissioni? Oppure parlerà di pace, di solidarietà, di riconciliazione, ricordando la bolla di Celestino V? Il perdono e la misericordia sono infatti i temi che sappiamo essere centrali nel magistero di Francesco.

Il trono e la sedia

Perché mettere allora in giro la voce delle dimissioni? Per il fatto – oggettivo – che nessun papa prima di lui è andato a L’Aquila per la Perdonanza? Ma un papa non era mai andato pure a Lampedusa prima di lui, un papa non era mai andato in Iraq, un papa non aveva mai partecipato alle celebrazioni di Lutero; e prima di lui mai il rito della lavanda dei piedi si era svolto fuori dalla basilica di San Pietro o il Giubileo si era mai aperto in Africa.

Celestino costituisce l’eccezione che conferma la regola dell’impossibilità delle dimissioni di un papa fino a Benedetto. E allora perché questa diffusa discussione sulle possibili dimissioni, negli stessi ambienti vaticani? Perché è malato? È forse il primo papa malato della storia? Certo, la malattia può condizionare il suo esercizio nel ministero petrino.

Ma usando la sedia a rotelle, invece della sedia gestatoria, Francesco ha già cambiato il senso della sua menomazione trasformandolo in un simbolo più consono al governo della Chiesa: già da ora. Ma questo non è stato affatto notato.

Francesco, pochi giorni fa, ci ha parlato del rischio che nel mondo prevalga l’odio. Ha speso parole che sono in rapporto con la realtà, con i fatti. Anche queste parole sono state poco commentate. Ha voluto forse dire che ciò che accade nel mondo ha modo di accadere perché l’odio si insinua anche nel pensiero religioso, nel modo di manifestare la fede e le fedi nel mondo?

Non molto tempo fa La Civiltà Cattolica ha pubblicato un saggio molto importante su un tema scottante. È stato così comunicato: l’ecumenismo dell’odio. Il titolo autentico è in verità un altro: “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo”.  Hanno firmato il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e il pastore Marcelo Figueroa, direttore dell’edizione argentina de L’Osservatore Romano.

Comincia così: “In God We Trust: questa è la frase impressa sulle banconote degli Stati Uniti d’America, che è anche l’attuale motto nazionale. Esso apparve per la prima volta su una moneta nel 1864, ma non divenne ufficiale fino al passaggio di una risoluzione congiunta del Congresso nel 1956. Significa: «In Dio noi confidiamo». Ed è un motto importante per una nazione che alla radice della sua fondazione ha pure motivazioni di carattere religioso. Per molti si tratta di una semplice dichiarazione di fede, per altri è la sintesi di una problematica fusione tra religione e Stato, tra fede e politica, tra valori religiosi ed economia”.

Fondamentalismi cristiani

Il saggio, come è evidente, parla degli Stati Uniti e delle visioni – cattoliche ed evangelicali – che si uniscono nel nome di un culto apocalittico diffusivo all’ombra del manicheismo politico. Questo saggio sembra porre le basi di un altro saggio che oggi andrebbe scritto da qualche cristiano ortodosso su quanto accade in Russia. L’ideologia del mondo russo pratica un manicheismo politico che fa dell’ortodossia russa il fondamentalismo di Stato che sostituisce il vecchio ateismo di Stato nel Russkij mir che si oppone in via manichea all’Occidente corrotto. Non è questo che ha detto il patriarca Kirill parlando di guerra metafisica al riguardo della guerra in Ucraina? Dunque, ci sono almeno tre fondamentalismi cristiani molto simili al fondamentalismo islamico che propugna un manicheismo politico islamico contro un Occidente corrotto e prevaricatore.

Se c’è un ramo di questo lago fondato sull’odio nel mondo cattolico, questo ramo non può che guardare con primaria ostilità a Francesco. Lui è il papa che più di altri ha tolto a un certo cattolicesimo l’illusione di essere societas perfecta di cui il papa deve per forza incarnare l’universale, immodificabile e assoluta regalità divina sulla terra, superiore a ogni altra autorità e societas conseguente.

È strano: questo mondo cattolico che guarda solo al passato mi sembra avere bisogno di immodificabili unicità – a partire dalla liturgia tridentina -, visto che chiede una celebrazione come “è sempre stata”, quasi che Gesù sia nato a Trento. Come possono accettare l’idea che nel concilio apostolico di Gerusalemme – ove è nata la Chiesa – sia stato accolto il compromesso proposto da Paolo? C’è dunque coerenza tra quel che questi cattolici chiedono ora quale Chiesa immodificabile ed eterna e ciò che è stata, da sempre, una Chiesa della diakonia prima che di ministeri e di culti ordinati.

Il senso di una riforma

La riforma della curia romana voluta da Francesco appare riscattare il paradigma romano medievale con quello paolino quando afferma: “La curia romana è al servizio del papa, il quale, in quanto successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità, sia dei vescovi, sia della moltitudine dei fedeli. In forza di tale legame l’opera della curia romana è pure in rapporto organico con il Collegio dei vescovi e con i singoli vescovi, e anche con le Conferenze episcopali e le loro Unioni regionali e continentali e le Strutture gerarchiche orientali, che sono di grande utilità pastorale ed esprimono la comunione affettiva ed effettiva tra i vescovi. La curia romana non si colloca tra il papa e i vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno”.

Questa è un’idea di governo della Chiesa che, nell’epoca della globalizzazione commerciale che fallisce, può spiegare al mondo come prendersi cura di sé stesso in una pluralità riconciliata, piuttosto che nell’omologazione alla societas perfecta. È questo, molto probabilmente, il cruccio di chi sta mettendo in giro le voci delle dimissioni di Francesco.

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Un commento

  1. Marco Ansalone 13 giugno 2022

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