Quaresima /1: la prova

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prova

Forse non si tratterà di una riflessione articolata sul tempo quaresimale, non credo di esserne in grado in questo momento.

In questi giorni ho avuto l’opportunità di leggerne molte e significative, ed è nato in me il timore e la sensazione di non aver nulla da dire rispetto a quello che già sappiamo e che sappiamo fin troppo bene.

Il tempo in cui già eravamo

In realtà mi rendo conto che la difficoltà maggiore nel riempire queste pagine nasce dalla sensazione che la Quaresima non sia iniziata pochi giorni fa, ma che questa sia “solo” la continuazione di un tempo di prova iniziato un anno fa.

Nella Quaresima dell’anno scorso abbiamo vissuto un tempo nuovo e destabilizzante, abbiamo iniziato a familiarizzare con termini che ora sono diventati parte dei nostri discorsi quotidiani – virus, pandemia, distanziamento, a cui ultimamente si aggiungono vaccini e varianti… lockdown totale, parziale, a colori… Molte situazioni sono cambiate, ma la sensazione è che non stia iniziando un tempo “diverso”, semmai la continuazione di un lungo, lunghissimo tempo in cui ci sentiamo messi alla prova.

Che duri quaranta giorni o quarant’anni, la Quaresima è un tempo simbolico che indica il passaggio, l’attraversamento, il traghettamento verso la pienezza della Pasqua, verso la vittoria della Vita. Un tempo imprecisato e tuttavia limitato. Un tempo per camminare in un deserto, senza riferimenti, un viaggio fatto di soste, di scoperte, di conquiste e fallimenti… nulla di diverso rispetto alla vita.

Forse la Quaresima è semplicemente un invito a ricordarci di vivere con consapevolezza la nostra quotidianità: il tempo non si ferma, le attività e il virus nemmeno. E in questo deserto disorientante e altalenante siamo stati gettati e spinti dalla forza dello Spirito. In Quaresima semplicemente si vive e si vive in quel deserto che la vita ci ha preparato.

In quest’ultimo anno, abbiamo imparato anche altri gesti abituali e quotidiani, abbiamo sofferto e soffriamo la perdita degli affetti che ci sono sottratti, ci sentiamo consegnati a una sorta di solitudine, ci siamo forse sentiti sollevati dal calo dei contagi e poco dopo traditi dal loro aumento e siamo stanchi di fare previsioni sul futuro…

Dove il Signore è

In questa traversata, in un mare in tempesta grande come il tempo e lo spazio che abbiamo a disposizione, il Signore è entrato con noi. Deserto e tempesta. Due situazioni di vita in cui è difficile sentire la presenza del Signore nonostante il Vangelo ci assicuri che sono luoghi da Dio frequentati.

Il tempo di Quaresima si apre infatti con il racconto di Gesù nel deserto, nel luogo della tentazione, del tentativo di cercare e trovare una strada percorribile nel disorientamento, nella solitudine, nella paura… Il vangelo di Marco non descrive le tentazioni, la sua sobrietà è simile alla discrezione di chi sa che la fatica del deserto la conosciamo bene e che non si tratta di eventi puntuali ma di una prova continua, di un tempo e uno spazio che consuma e che chiede sottomissione.

E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase… (Mc 1, 12-13). Rimase, di Gesù si dice solo questo, lo stile del Signore è quello di rimanere. Lo chiederà ai suoi amici più intimi, poco prima di consegnarsi nella Pasqua, li supplicherà di rimanere in Lui e con Lui, nello smarrimento del Getzemani, nell’ora buia del tradimento.

Ma prima di chiederlo ai suoi amici si è esercitato a rimanere nel deserto, nella tempesta, nella solitudine, nel disorientamento, nell’impotenza… solo chi ha imparato a rimanere può chiedere ad altri, in modo credibile, di fare altrettanto. Una quaresima per rimanere. Rimanere accanto. Rimanere dentro. Rimanere in piedi. Rimanere fragili. Rimanere umani. Rimanere…

Per chi è nella morsa della tentazione, per chi sente lo strazio di rimanere nell’impotenza, quaranta giorni sono un tempo infinito, un tempo vissuto nell’ambiguità delle alternative che presentano come via di uscita l’abbandono della nostra umanità, lasciandoci trasformare in bestie o in angeli.

I nostri deserti

Ma quaranta, sono anche giorni contati, limitati. La prova è delimitata, non è al di sopra delle nostre possibilità. Ma la fine del tempo della Quaresima ci introdurrà ad una prova maggiore: vivere secondo lo stile imparato nel deserto. In che modo questa lunga esperienza quaresimale ci abbia cambiati lo vedremo solo quando, passata l’emergenza, ritroveremo in noi la capacità di mantenere tratti di umanità nella disperazione, nella crisi, nel lutto, nella perdita…

E nel deserto rimase… rimanere, sapendo vincere la tentazione di fuggire in avanti, dal momento che indietro non è possibile tornare. Rimanere non significa restare inermi, ma sottomessi con pazienza. Significa lottare per non fuggire, restare sotto i colpi senza lasciarsi schiacciare. Siamo sconvolti ma non disperati, perseguitati ma non abbandonati… perché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne (cf. 2Cor 4,8-10).

Rimanere nel deserto quaresimale è la possibilità reale di mettere in gioco il meglio di noi nelle situazioni dalle quali volentieri fuggiremmo. Nei nostri deserti possiamo decidere di restare per continuare a sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi… (Is 58,6).

Nei nostri deserti possiamo decidere di rimanere solo dopo aver ascoltato e creduto ad una voce che ha dichiarato il suo amore senza condizioni per noi: Tu sei l’amato (Mc 1,11). È lo stesso Spirito che delicatamente ha accompagnato il suono di questa voce fino a noi, che con forza ci spinge e ci accompagna nel deserto.

Nei nostri deserti possiamo scegliere quali parole custodire, quale memoria coltivare, gettati nella situazione che stiamo vivendo possiamo ritrovare e riascoltare le parole di un amore incondizionato che precede ogni nostro agire. Siamo amati, in qualunque luogo e situazione, in qualunque tempesta o deserto.

Forse è questa la parola, che nel nostro rimanere, abbiamo il diritto di scambiarci, siamo amati, nella sofferenza, nella fatica, nel senso di sconfitta e fallimento, nell’esperienza dell’impotenza, nel bisogno di credere che presto qualcosa finirà.

Gettati nel deserto e invitati e supplicati di rimanere il tempo necessario senza fuggire, spinti sempre più in profondità, perché a differenza di un anno fa non siamo colti di sorpresa e purtroppo abbiamo imparato la fatica del deserto, cosa significa restare in mezzo alle bestie selvatiche, fuori e dentro di noi, sappiamo cosa significa volerci rifugiare altrove, rassegnarci o ammantare di spiritualismo questo tempo che continua a essere drammatico.

All’alba la nostra umanità

Forse questo tempo di quaresima è l’opportunità per imparare a stare in mezzo senza svendere o abdicare alla nostra umanità. Rimanere per scoprire che il deserto non solo è abitato da fiere e angeli, ma dal Signore stesso che per primo ha scelto di rimanere non quaranta giorni o quaranta anni ma ha scelto di abitare per sempre tutti i deserti dei suoi figli, per essere la loro compagnia nella traversata verso la pienezza della vita, che esploderà più forte di ogni morte al mattino di Pasqua.

Gesù rimase nel deserto con noi e per prendersi cura di noi. La cura di Dio non è un evento occasionale, meritata dai gesti eroici di qualcuno, ma è l’azione continua di Dio nelle giornate anonime e distratte della nostra quaresima, nei desideri di fuga e nelle corse, nella mediocrità e nella stanchezza di giornate trascinate, nei pianti silenziosi o nella rabbia gridata…

Il Signore è lì, rimane accanto, si prende cura di noi nella situazione reale in cui ci troviamo, nei tempi che non conosciamo, nei cambi repentini di programma, nella progettualità mortificata…

Nel deserto rimase… E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire (Franco Battiato, Prospettiva Nevski). L’espressione della cura passa dalla scelta di rimanere, a caro prezzo, e di imparare, da Colui che ha fatto dei nostri deserti la sua dimora, a vedere nella notte le prime luci della Pasqua.

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