L’obbedienza /3

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L’obbedienza costituisce la terza tappa del nostro itinerario attraverso il volume curato da Francesco Strazzari, La giornata di un monaco. Conversazione con dom Jean-Marc Thevenet, abate d’Acey, EDB, Bologna 2016 (già pubblicate: la vocazione; la preghiera).

Camaldoli, celle

«“L’obbedienza è un bene”, afferma san Benedetto al capitolo 71 della sua Regola. E ne spiega le ragioni: “È per la via dell’obbedienza (…) che i fratelli andranno a Dio”. Per permetterci di compiere un tale itinerario pone all’inizio della Regola la parola programmatica: “Obsculta”, cioè: “Ascolta”. “Obsculta fili”; “Ascolta, figlio”.

Sapendo che in latino i verbi “obbedire” e “ascoltare” hanno la stessa radice, si capisce che per san Bernardo e tutta la tradizione monastica l’obbedienza sia prima di tutto un “ascolto”. Ascolto di Dio nella sua parola e negli avvenimenti perché Dio parla sempre e in ogni circostanza».

– Si è soliti pensare all’obbedienza come alla sottomissione a norme e leggi.

«È vero che la vita religiosa ha disgraziatamente ridotto spesso l’obbedienza all’esecuzione di comandi e alla sottomissione di norme. Questa concezione, anche se fa appello al giudizio e alla volontà, è troppo restrittiva. Perché l’obbedienza secondo il vangelo è più che una nozione morale. È “l’obbedienza della fede”, cioè non può essere capita se non in riferimento a Dio e non la si può vivere se non in un rapporto di fiducia amorosa.

I maestri spirituali e i grandi testimoni della vita monastica, riferendosi al vangelo, concepiscono l’obbedienza come un principio di libertà. Così, la Regola di san Benedetto è una “pedagogia” per permettere al monaco d’integrarsi, di assimilare l’obbedienza. Perché? Perché l’obbedienza è il mezzo privilegiato per seguire la via reale che conduce a Dio e ci fa comunicare la sua vita.

Occorre d’altronde dirlo con forza, l’obbedienza non è riservata solo a coloro che si impegnano nella vita religiosa. È una dimensione costitutiva della vita cristiana, perché ogni battezzato è chiamato a vivere la parola che Dio semina a piene mani e a porsi sotto il soffio dello Spirito Santo. Perché, anche se l’obbedienza del cristiano si esprime in maniera meno esplicita dell’obbedienza del monaco, non è di una natura differente e – soprattutto – non è meno esigente.

In ogni caso, non vi è obbedienza senza libera adesione. Entrare in un percorso di obbedienza richiede del tempo. Bisogna fare un lungo itinerario di conversione e di maturazione che, come per la carità, la povertà e la castità, non è mai finito».

– Qual è allora il fondamento dell’obbedienza?

«L’obbedienza ci permette di entrare in un processo di “filiazione”. Diventare “figlio” del nostro Padre del cielo, ecco la nostra vocazione, ecco l’obiettivo da raggiungere. E, in questo campo, il modello, il riferimento assoluto, è Gesù Cristo, il “Figlio” per eccellenza. È in lui, lasciandoci prendere dalla sua vita, mettendoci sotto l’azione del suo Spirito, che possiamo imparare a vivere l’obbedienza.

In maniera sorprendente e quasi impossibile da concepire per i nostri spiriti umani, Gesù, il Verbo fatto carne, ha voluto “insegnarci l’obbedienza”. È così che noi leggiamo nella Lettera agli Ebrei: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,8). E ancora: “Umiliò stesso facendosi obbediente fino alla morte (Fil 2,8). Un apprendimento della nostra condizione umana per insegnare, a sua volta, a noi esseri umani, a vivere, come lui, una relazione di abbandono e di intimità con suo Padre… che è anche “nostro Padre”. Il Verbo ci chiama quindi ad entrare da oggi, grazie a lui, nella relazione con il Padre che sarà nostro Padre per tutta l’eternità.

L’obbedienza, nella sua dimensione più profonda consiste nell’unione delle volontà. È quanto Cristo ci manifesta quando parla della sua relazione con suo Padre: «Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato», (Gv 5,30). Questo vuol dire che aderisce ed è in pieno accordo con ciò che pensa e vuole suo Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Santa Teresa del Bambino Gesù aveva colto bene questa unione delle volontà quando ci dice che fa sempre la sua volontà perché non desidera niente altro che fare la volontà di Dio suo Padre».

– È stupendo quello che lei dice, ma che rapporto c’è tra obbedienza e discernimento?

Sostieni SettimanaNews.it«È alla luce dell’obbedienza come ricerca di adesione alla volontà del Padre che bisogna considerare l’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Questo ministero non ha niente a che vedere con un potere assoluto e discrezionale: “Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,26-27).

Ogni autorità non è che una mediazione per permettere ad altri di scoprire la volontà di Dio. Da qui la necessità del discernimento spirituale e dunque dell’ascolto-obbedienza alle suggestioni dello Spirito Santo. Non c’è da un lato “il superiore”, che possiederebbe il sapere e l’imporrebbe e, dall’altro, il “discepolo” che, in quanto esecutore, sarebbe il solo a dover obbedire. È insieme che l’ uno e l’altro, grazie a un vero dialogo e alla preghiera, cercheranno quale è la volontà del Padre in questa o quest’altra situazione».

– Che cosa vuole dire per un monaco «rinunciare alla sua propria volontà?».

«È una parola d’ordine che attraversa tutta la letteratura spirituale. È un’espressione tutta da capire. Non si tratta di rinunciare e alienare il giudizio e il volere, ma – al contrario – di diventare pienamente sé stessi per accedere alla libertà di amare veramente. Per questo è indispensabile staccarsi dal proprio egoismo che pensa solo a stesso e falsa tutto.

L’obbedienza alla volontà di Dio si esprime e si prova con l’obbedienza reciproca: “I fratelli si obbediranno reciprocamente con tutto il loro cuore” (Regola 72,6). Si potrebbero qui riprendere le parole di san Giovanni adattandole al nostro contesto: “Colui che dice: ‘Obbedisco a Dio’ e non obbedisce a suo fratello è un bugiardo”».

Guglielmo di Saint Thierry«Concedimi, Signore,
di farti lealmente il dono di tutto ciò che ho,
di tutto ciò che sono,
di tutto ciò che penso;
che non mi riservi niente!
È con te, o Signore, che ho a che fare».

(Guglielmo di Saint Thierry, V meditazione)

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