Rupnik: censura a distanza

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Tre sono le novità nella vicenda dolorosa che riguarda l’artista mosaicista don Marko Ivan Rupnik: le censure dei gesuiti della provincia della Cechia al Centro Aletti di Omolouc, la decisione della Segreteria della comunicazione vaticana di togliere da tutti i siti della Santa Sede le immagini dell’ex gesuita, le parole di autocritica del preposito generale dei gesuiti, p. Arturo Sosa.

Il 10 giugno il nuovo provinciale in Cechia, p. Pavel Bačo, ha scritto ai padri del Centro Aletti di Omolouc rimuovendo e sostituendo il direttore e il superiore della comunità e avviando un’indagine sulla casa editrice Refugium. Il Centro Aletti era nato in Cechia come filiazione di quello di Roma negli anni Novanta con la stessa vocazione di promozione del dialogo tra arte, fede e cultura. Una fondazione facilitata dal ruolo di «patronaggio» e garanzia svolto dal card. Tomáš Špidlík di origine ceca e membro «co-fondatore» del Centro romano.

Dopo un lungo periodo di intensa collaborazione, anche se non privo di tensioni, le relazioni si sono diradate in ragione dell’insufficiente impegno dei confratelli cechi nel promuovere la memoria di Špidlík, morto nel 2010 e sepolto a Velehrad, il santuario nazionale. Accanto al centro boemo, nasceva nel frattempo una fondazione religiosa femminile, le «serve del sacro Cuore di Gesù» (in sigla SJVS) che contribuivano all’azione pastorale della comunità gesuitica. L’elemento trainante della comunità femminile e, almeno in parte, del Centro Aletti è la consacrata Katerina Klosova che si presenta come persona che gode di rivelazioni mistiche.

I suoi scritti sono divulgati attraverso i testi stampati dall’editrice Refugium. Dopo le note vicende canoniche di Rupnik – censurato con scomunica poi rimessa nel 2020, in seguito accusato da una decina di consacrate, processo interrotto per prescrizione e, infine, di nuovo in giudizio per la decisione di papa Francesco di rimuovere la prescrizione e per l’ampliarsi delle denunce nel 2023 –, Katerina Klosova ha diffuso una rivelazione a lei rivelata in cui si afferma la totale estraneità di Rupnik alle accuse e la sua piena innocenza. Una conclusione accettata, condivisa e promossa dalla comunità dei gesuiti, nonostante la grave decisione della Compagnia di estromettere l’artista dalla Congregazione (nel giugno del 2023).

Affermazioni controverse e comportamenti settari

Nella dichiarazione di p. Pavel Bačo, la Compagnia prende distanza dalla comunità femminile e dalle presunte rivelazioni. «L’opera delle SJVS non è e non è mai stata opera dell’ordine dei gesuiti». Negli scritti della visionaria vi sono idee «dottrinalmente controverse. Inoltre, la comunità si manifesta in modo settario e causa divisione e discordia nelle Chiese locali. Pertanto, difficilmente può essere percepita come opera dello Spirito».

Denuncia le manipolazioni e gli abusi spirituali verificatisi, sollecitando eventuali denunce. «Consideriamo, inoltre, del tutto inaccettabile la difesa dell’ex gesuita Marko Ivan Rupnik accusato di comportamento inappropriato nei confronti di una trentina di donne. Non condividiamo la banalizzazione della sua condotta scorretta e respingiamo la svalutazione di quanti si sono presentati come vittime di Rupnik, come ripetutamente affermato nei libri incriminati della casa editrice Refugium». Le drastiche disposizioni prodotte sono state fatte in sintonia con il padre generale: dimissione del direttore e del superiore, indagine sull’editrice e visita canonica per la comunità SJVS.

Ampiamente nota la scomparsa dal sito della Santa Sede delle immagini riferibili alle opere dell’ex gesuita a partire dal 9 giugno, immagini difese dal prefetto del dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini, nel giugno 2024 davanti ad un’assemblea di comunicatori negli USA. Giustificava la scelta prudenziale per l’ancora assente sentenza giuridica, per il fatto di usare materiale di archivio e per la distinzione fra opera e autore.

A critica della scelta, si è espresso anche il card. Sean O’Malley, presidente della Commissione per la tutela dei minori: «La prudenza pastorale impedirebbe di esporre opere d’arte in un modo che potrebbe implicare sia l’assoluzione sia una sottile difesa (degli abusatori) o indicare indifferenza al dolore e alla sofferenza di tante vittime di abusi».

Una considerazione che non significa la demonizzazione delle opere (cf. qui su SettimanaNews), ma che sostiene la decisione di alcuni santuari (come Lourdes) e istituzioni (come l’istituto Giovanni Paolo II a Washington) di oscurare la loro presenza per ragioni di opportunità pastorale. Il dibattito sulle opere probabilmente continuerà al di là dell’attesa celebrazione del giudizio canonico e della sua conclusione (cf. qui su SettimanaNews).

Del guardare e del «vedere»

Lo scorso 10 aprile, in una conferenza stampa di presentazione delle attività della Compagnia di Gesù, il preposito generale, p. Arturo Sosa, ha risposto ad alcune domande sul caso Rupnik ammettendo una colpevole disattenzione della Congregazione davanti ai fatti: «A causa della nostra cecità, perché è vero che non ce ne siamo accorti […] una cecità derivante dal non aver messo assieme i vari elementi». P. Sosa ha sottolineato anche la difficile denuncia nel caso di vittime adulte. «Penso che abbiamo imparato ad avere sensibilità verso queste cose e vogliamo (scegliere) gli strumenti per affrontarle».

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6 Commenti

  1. Liliana 18 giugno 2025
  2. Adelmo Li Cauzi 14 giugno 2025
    • Gian Piero 17 giugno 2025
  3. 68ina felice 14 giugno 2025
    • Anima errante 14 giugno 2025
      • Gian Piero 17 giugno 2025

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