L’inquinamento nella Valle del Po (14 febbraio 2024; Fonte: ESA)
L’inquinamento dell’aria è una materia molto complessa, che ha a che fare con la chimica e la fisica dell’atmosfera. Gli specialisti sono pochi e spesso non si fanno capire granché.
Per cominciare a parlarne possiamo far riferimento a qualche episodio storico, per esempio al cosiddetto Grande Smog (cf. qui), un fenomeno gravissimo che colpì Londra nel dicembre 1952. La combinazione fatale di alta pressione atmosferica, freddo pungente, ed emissioni dalle innumerevoli stufe e fabbriche alimentate a carbone, determinò per giorni una situazione estrema, caratterizzata da un impenetrabile e denso fumo (smoke) misto a nebbia (fog) che condusse alla morte migliaia di persone per problemi respiratori, peggiorò le condizioni di salute dell’intera città, animali compresi, e portò a coniare il termine smog.
Qualità dell’aria
A seguito di questo evento, nel giro di quattro anni gli inglesi si dotarono, primi al mondo, di una legge sulla qualità dell’aria – il «Clean Air Act» – che rimane una pietra miliare sulla strada della lotta all’inquinamento. Altre leggi simili furono infatti adottate nei decenni successivi, prima dagli Stati Uniti (1970) e poi dall’Europa a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.
Un ruolo fondamentale nel rendere il Grande Smog così letale fu la trasformazione chimica, mediata dalla nebbia (aria umida), delle sostanze inquinanti contenute nei fumi − cioè, ossidi di zolfo e di azoto, inquinanti primari − in veleni veri e propri, quale l’acido solforico, detti inquinanti secondari.
Fenomeni di questo genere accadono tuttora, e non solo a Londra. Per esempio, a metà febbraio 2012 in Emilia furono registrati picchi altissimi di polveri sottili formatesi direttamente in atmosfera, a causa della contemporanea presenza di ammoniaca – molecola derivante dalle concimazioni organiche nelle campagne della pianura – e di ossidi di azoto derivanti dalle combustioni soprattutto nei motori e nelle caldaie di riscaldamento. Nel freddo pungente e nell’alta pressione del periodo, le reazioni chimiche atmosferiche condussero alla formazione, al livello del suolo, di particolato secondario (nitrato di ammonio), che per giorni non si disperse e fu abbattuto solo dall’arrivo di successive piogge (cf. qui sul sito Arpae).
Londra peraltro continua anche oggi la sua lotta contro l’inquinamento, condotta in prima persona dal sindaco Sadiq Khan che soffre di asma ed è quindi particolarmente sensibile alla qualità dell’aria nella sua città. Se le misure adottate settant’anni fa riguardavano soprattutto la sostituzione del carbone col gas, dal 2003 a Londra si applica la tassa di ingresso al centro urbano (la «congestion charge») a tutti i veicoli che non siano ad emissioni zero; ad oggi la tariffazione è estesa ad un’area immensa, nella quale, per non pagare, o si lascia a casa l’auto, o la si prende elettrica (cf. qui).
Va detto che la lotta alle emissioni di ammoniaca − sostanza dall’odore pungente emessa soprattutto dagli allevamenti bovini intensivi e dalle concimazioni a base di letame e liquami − può condurre alla disfatta politica, come ha dovuto sperimentare sulla propria pelle l’ex premier olandese Mark Rutte: su questi temi ha infatti perso nel 2023 le elezioni politiche, dopo aver inutilmente cercato di convincere – a suon di laute sovvenzioni – una quota rilevante di allevatori olandesi a cambiare mestiere. Peraltro, gli agricoltori olandesi erano e sono già dotati, per legge, di sistemi di iniezione dei liquami nel sostrato del terreno anziché spruzzarli sopra, con inevitabile dispersione nell’aria, come si continua a fare in Italia (cf. qui su Il Giornale).
Il rapporto di Legambiente
Occorre qui, tuttavia, distinguere la materia dell’inquinamento atmosferico da quella, certamente connessa, ma non sovrapposta, della crisi climatica.
Le polveri sottili – PM10 e PM2,5 –, gli ossidi di azoto, il benzene, l’ozono troposferico (quello emesso o generato vicino al suolo), i solfati, gli idrocarburi incombusti e tutta una serie piuttosto estesa di altre sostanze contaminanti e pericolose per la salute, si formano, in larga misura, a causa degli stessi processi che liberano nell’atmosfera CO2, il gas maggiormente responsabile del cambiamento climatico, ma che, tuttavia, non porta rischi di tossicità per la salute umana, almeno non nelle concentrazioni oggi nell’aria che respiriamo.
Con tali premesse possiamo meglio apprezzare il senso del rapporto Mal’Aria di Città 2025, redatto da Legambiente, largamente ripreso dall’ultimo report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA): nonostante qualche miglioramento, in tutta l’Europa – Italia inclusa – gli standard della qualità dell’aria previsti dalla normativa UE non sono rispettati.
Per l’anno 2024, il limite PM10 di 50 microgrammi per metro cubo (µg/mc) è stato superato per oltre 35 giorni l’anno in circa un quarto dei capoluoghi di provincia − spesso in molte centraline delle stesse città − a segnalare un inquinamento molto più grave e diffuso di quanto si voglia ammettere da parte delle istituzioni.
Concentrazioni orarie di PM10 nella Pianura Padana dall’1 al 31 gennaio 2024
Dati: Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS). Fonte: ESA.
Se prendiamo a riferimento la media annuale, in nessun capoluogo si è superato il limite normativo attuale di 40 µg/mc, ma se si prende a riferimento il valore per la media annuale suggerito dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nelle sue linee guida (15 µg/mc), allora questo limite risulta superato in 95 dei 98 capoluoghi esaminati.
La nuova direttiva sulla qualità dell’aria, recentemente approvata a livello comunitario, ha rivisto i limiti di riferimento per il PM10: dal 2030 la media annuale non dovrà superare i 20 µg/mc, valore prossimo a quello suggerito dall’OMS. Tutte le città italiane dovranno quindi correre se non vorranno trovarsi impreparate ai nuovi standard e pagare multe salate.
Le cose non vanno meglio per il particolato fine (PM2,5). L’Agenzia Europea ammonisce che solo 5 città italiane − ovvero Sassari (6,2 μg/mc), Livorno (7,8), Savona (9,2), Battipaglia (9,6) e Siracusa (9,7) – hanno una qualità media dell’aria «discreta» (PM2,5 <10 μg/mc), mentre in 29 centri urbani risulta «moderata» (<25 μg/mc) – comprese Bologna e Firenze − e, in altri 27, «scarsa». La città più inquinata risulta Cremona con 23,3 μg/mc, seguita da Vicenza e Padova.
In fatto di biossido di azoto, in nessuna città italiana il valore medio annuale ha superato il valore limite stabilito dall’attuale normativa europea, fissato in 40 µg/mc. Le situazioni peggiori sono state misurate a Napoli e a Palermo, in prossimità al limite, ma anche a Milano, Como, Catania, Torino, e Roma con oltre 30 µg/mc e con sforamenti in molte centraline.
Delle 98 città di cui si dispone il dato medio annuale, circa il 45% (44 città capoluoghi) non soddisfa quanto previsto dalla nuova normativa, che entrerà in vigore tra cinque anni e che prevede una media annuale di NO2 a 20 µg/mc.
Proposte prioritarie
Di fronte a questa situazione, il rapporto Mal’Aria avanza alcune proposte prioritarie che toccano le diverse fonti dalle quali originano le sostanze inquinanti: dai combustibili fossili usati per il riscaldamento domestico, alle attività industriali, all’agricoltura, al trasporto su strada. In base al territorio ed alle caratteristiche in cui le emissioni hanno luogo, il peso dei vari settori incide in maniera differente. La pianura padana, per le sue caratteristiche meteorologiche, geografiche, industriali, zootecniche e demografiche, li comprende tutti, e questo ne fa l’area più inquinata di tutto il Continente.
Senz’altro, il settore zootecnico andrebbe ripensato, portandolo a produrre in equilibrio con il territorio e regolando meglio lo spandimento dei liquami. Mentre andrebbe sorvegliata l’emissione dei fumi da riscaldamento domestico, spesso originati dalla combustione di legname e di pellet. Ma è sul trasporto su strada che si potranno/dovranno focalizzare i maggiori sforzi verso la totale elettrificazione pubblica e privata, coinvolgendo i decisori politici e i cittadini tutti nel cambio di paradigma non più rinviabile.
L’Italia è infatti ai primi posti nella poco invidiabile classifica di Stato UE col maggior numero di auto per abitante (684 auto/1000 abitanti, media europea 560), mentre è il fanalino di coda nella classifica delle immatricolazioni delle auto elettriche (nel 2024 solo il 3,9%).
Molti comparti responsabili di emissioni di gas serra stanno, sia pur lentamente, scendendo lungo la traiettoria indicata, per giungere alla decarbonizzazione entro il 2050 (vedi figura), con la importante eccezione delle emissioni dei trasporti, ed in particolare dalle auto, dopo la frenata della pandemia da Covid.
Si stima che nel 2021 l’esposizione al particolato abbia provocato 253.000 morti premature in tutta l’UE (di cui 47.000 in Italia). Immaginiamo, allora, quale potrebbe essere il costo di un litro di benzina o di gasolio, se tutti i costi di tali malattie e decessi venissero riversati sul costo dei carburanti!
Se non acceleriamo la transizione, pagheremo multe alla UE per l’inquinamento dell’aria, ovvero pagheremo multe per permettere alle grandi aziende dei combustibili fossili – le Big Oil Co. o Sette Sorelle come vengono chiamate – di continuare ad ucciderci, invece di far pagare loro i costi del Servizio Sanitario Nazionale legati all’uso delle auto a motore termico!
Narrazione capovolta
Per convincere le persone ad aderire alla necessaria decarbonizzazione dovremmo forse cambiare strategia di comunicazione. Invece di contrastare le fake news che circolano sulle auto elettriche, dovremmo capovolgere la narrazione corrente con la seguente provocazione.
Chiudiamo gli occhi e immaginiamo di essere in un mondo perfetto, nel quale tutto il trasporto è elettrificato. Uno spot televisivo vi propone la nuova modalità di trasporto − l’auto a combustione − con uno slogan: «Non sarete più obbligati a programmare i vostri viaggi da Milano a Napoli e fermarvi mentre la vostra auto elettrica si ricarica! Potrete invece rifornire la vostra automobile in una stazione di servizio in soli 5 minuti! Certo il viaggio vi costerà di più, perché solo un terzo dell’energia che metterete nel serbatoio servirà per muovere le ruote, mentre i due terzi verranno sprecati nell’ambiente generando CO2, inutile calore e numerosi inquinanti. Certo, ci saranno in Italia circa 40.000 morti in più per malattie legate all’inquinamento. Certo, l’aria delle città sarà molto meno pulita. Ma quale vantaggio, non doversi più fermare a fare, per forza, la pipì!»
Quanti di noi abbraccerebbero la nuova strategia? Pensiamoci bene, perché è quello che sta accadendo – ora – con i combustibili fossili, che modificano il clima e inquinano le nostre città, fino a farci ammalare e a morire.
I dottori Giulio Marchesini e Vittorio Marletto fanno parte della Associazione di divulgazione scientifica Energia per l’Italia (www.energiaperlitalia.it)