Indi Gregory è morta il 13 novembre

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Qualche sommessa riflessione sul caso doloroso di Indi Gregory. La bambina è morta nella notte tra domenica e lunedì, dopo il trasferimento, sabato mattina, in un hospice e al termine di una lunga battaglia legale che ha coinvolto anche l’Italia. Come è noto, il 6 novembre il governo Meloni aveva concesso la cittadinanza per consentirle di essere trasferita al Bambin Gesù di Roma.

Nonostante la lunga battaglia legale intrapresa dai genitori, venerdì le Corti del Regno Unito avevano disposto lo stop ai trattamenti vitali e il trasferimento in un hospice.

Il sistema sanitario e legale britannico prevede, nei casi di prognosi sfavorevole, che la parola spetti ai medici in merito all’interruzione dei trattamenti. E qualora i genitori non fosse d’accordo, si apre la strada a una controversia legale. In quel sistema – che pure è noto in tutto il mondo per avere “inventato” gli hospice – la decisione sul “migliore interesse” del minore è dei medici e dei giudici. Il che apre la strada a controversie legali, come abbiamo imparato in questi anni con alcune dolorose vicende di cronaca (Charlie Gard, Alfie Evans, per tutti).

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La decisione del governo italiano – che i giudici inglesi non hanno considerato – ha aperto la strada a un dibattito nel nostro paese, con posizioni contrapposte. Da un lato, le associazioni cattoliche che da sempre difendono la vita e la famiglia, sostenitrici del diritto dei genitori ad avere l’ultima parola. Dall’altro lato, sanitari e giuristi, che hanno espresso pareri diversi.

Ad esempio, sul Corriere della Sera del 9 novembre, Alberto Giannini, direttore della Rianimazione Pediatrica degli Ospedali Civili di Brescia, ha notato che “viviamo un paradosso: mentre la medicina sembra offrire possibilità infinite, la realtà della pratica clinica è governata dai limiti” soprattutto nel caso in questione, in cui si è trattato di una sindrome microcondiale rara, per la quale non ci sono ancora delle cure.

Così Lorenzo D’Avack, giurista, già componente della Commissione nazionale di Bioetica, su La Repubblica del 10 novembre ha giudicato “un atto politico” la decisione del governo italiano. Ed ha espresso un giudizio netto: “ci sono organizzazioni prolife che speculano sul dolore e sull’ignoranza scientifica dei genitori. Lo abbiamo già visto nei casi di Alfie Evans e Charlie Gard”. Quanto al sostenere che dovrebbero essere i genitori a poter dire l’ultima parola, D’Avack fa notare che anche in Italia, come in Inghilterra, questioni di questo tipo vengono decise in tribunale. “Anche in Italia, di fronte a un disaccordo tra genitori e ospedale, è un giudice a dover decidere. Lo prevede la legge 219 del 2017”.

Su Avvenire del 10, la neurologa Matilde Leonardi (Besta di Milano), pur rilevando di non conoscere “specificamente” la cartella clinica di Indi Gregory, argomenta che la bambina “non è una paziente terminale” bensì “con malattia inguaribile”. E si chiede “perché mai due genitori dovrebbero essere privati della patria potestà e deve essere loro impedito di portare la figlia in uno dei migliori ospedali pediatrici se desiderano farlo?”.

Temi, come si vede, molto complessi e l’emotività che ovviamente scatenano, non aiuta certo a rasserenare i giudizi.

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Da notare due aspetti poco o nulla trattati nel dibattito italiano.

Primo: non è dato sapere quali siano state le reali condizioni cliniche della paziente, perché la cartella clinica – unico documento valido – non è ovviamente accessibile. Senza poterla consultare, ogni discorso diventa astratto. Quindi bisognerebbe fidarsi dei medici inglesi e dei diversi giudici che sono intervenuti nella vicenda. Ma in queste situazioni, non è sempre detto che lo si faccia.

Secondo aspetto: la bambina era davvero trasportabile altrove, in Italia in questo caso? Stiamo parlando di un trasporto aereo, con tutte le attrezzature necessarie, per una paziente in condizioni critiche. Anche qui non è dato saperlo.

In questa situazione, da notare cosa hanno detto i vescovi inglesi (qui). Il sito della Conferenza episcopale del Regno Unito (Cbew), il 7 novembre, ha pubblicato la seguente dichiarazione: “Il vescovo Patrick McKinney, vescovo di Nottingham, e il vescovo John Sherrington, vescovo capo per le questioni relative alla vita, hanno commentato il caso di Indi Gregory, una bambina di otto mesi gravemente malata in cura presso il Queen’s Medical Center di Nottingham: la tragica situazione della piccola Indi Gregory è davvero straziante, soprattutto per i suoi devoti genitori Claire e Dean, i suoi fratelli, la famiglia allargata e gli amici. I responsabili delle cure mediche presso il Queen’s Medical Centre di Nottingham credono di aver fatto tutto il possibile per aiutarla.

Tuttavia, come persone di speranza, riconosciamo che i suoi genitori vogliono perseguire ogni possibile possibilità di allungare la sua vita, anche quando sanno che ciò non comporta alcuna garanzia di successo e richiederebbe il trasferimento all’Ospedale Bambino Gesù di Roma, Italia.

A questo proposito, entrambe le parti cercano di agire nel migliore interesse di Indi. L’amore dei genitori porterà al desiderio di compiere ogni passo possibile e noi lo sosteniamo. Laddove le cure mediche diventano sproporzionate rispetto a qualsiasi possibile beneficio, è necessario mantenere adeguate cure palliative per una persona malata. La sospensione di terapie sproporzionate non può giustificare la sospensione delle cure di base che comprendono trattamenti necessari per mantenere le funzioni fisiologiche essenziali finché l’organismo può trarne beneficio (come idratazione, nutrizione, supporto respiratorio proporzionato, termoregolazione e gestione del dolore).

Accanto alla cura spirituale offerta a chi presto incontrerà Dio, la Chiesa ritiene che queste cure siano necessarie per accompagnare questi piccoli pazienti verso una morte naturale dignitosa. La malattia terminale prolungata è, purtroppo, parte della condizione umana. Non dovremmo mai agire con l’intenzione deliberata di porre fine a una vita umana, inclusa la rimozione delle cure di base in modo che la morte possa essere raggiunta. Tuttavia, a volte, dobbiamo riconoscere i limiti di ciò che si può fare, pur agendo sempre con umanità al servizio della persona malata fino al momento della morte naturale.

Speriamo e preghiamo affinché, sulla scia di questa decisione, la famiglia possa gradualmente trovare un po’ di pace nei prossimi giorni e settimane. Le nostre preghiere sono rivolte alla piccola Indi, ai suoi genitori e alla sua famiglia, così come a coloro che si prendono cura di lei”.

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Ai vescovi ha fatto eco papa Francesco l’11 novembre, attraverso la Sala Stampa vaticana: “Papa Francesco si stringe alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, prega per loro e per lei, e rivolge il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra”.

Forse qui c’è una risposta: tutti i bambini, senza eccezioni, dovrebbero essere tutelati in caso di malattie e guerre. I mass media, di solito, si concentrano su un caso singolo, stimolando l’emotività della cosiddetta “opinione pubblica” e lasciano da parte altre vicende nel mondo.

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4 Commenti

  1. Gian Piero 13 novembre 2023
    • Anima errante 13 novembre 2023
      • Tobia 13 novembre 2023
  2. Pietro 13 novembre 2023

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