Una lettura sinottica delle ultime Ratio Nationalis Institutionis Sacerdotalis della CEI ci aiuta a valutare gli sviluppi e le criticità in merito alla formazione dei futuri presbiteri. Si tratta di un salto temporale notevole per i cambiamenti repentini che viviamo (quasi vent’anni l’una dall’altra) e pubblicate sotto due pontificati diversi.
Nonostante molti contributi degni di attenzione nell’ultima Ratio (valorizzazione dell’accompagnamento psicologico, presenza laicale, importanza della comunità cristiana ecc.), emerge tuttavia il medesimo meccanismo d’arresto intorno alla riflessione sulla sfera affettiva e sessuale del futuro presbitero, connesso a un approccio e un linguaggio che faticano ancora a interpretare il vissuto umano di un giovane della società italiana attuale.
Già nel 2006 numerose perplessità, dentro e fuori la comunità ecclesiale, furono sollevate per le modalità con cui fu affrontata la dimensione dell’orientamento omoaffettivo nei candidati al ministero ordinato. È solo uno degli aspetti della dimensione sessuale che richiede un maggiore ripensamento soprattutto in dialogo con le scienze umane e le scelte che la Chiesa è chiamata a compiere alla luce del cammino sinodale.
La Sintesi finale del Sinodo sulla sinodalità servirà a ben poco se non sviluppa tra i battezzati e le battezzate la capacità di confrontarsi, anche su questo argomento, senza ipocrisia (le parti in rosso sono di Chiara D’Urbano, quelle in nero di Roberto Oliva).
Vale la pena richiamare, per quanto oggi ormai dovrebbe essere chiaro e senza ombre di dubbio, che la comunità scientifica a livello internazionale si è espressa già da diversi anni in merito all’orientamento sessuale. Orientamento non vuol dire agito fisico/genitale, ma attrazione affettiva, romantica e sessuale di una persona verso un’altra dell’altro sesso, del medesimo sesso, o di ambo i sessi.
Inoltre, dato molto importante, senza giri di parole o eccezioni, l’orientamento omoaffettivo rappresenta una variante naturale, non patologica, non disfunzionale della sessualità umana. Non c’è malattia, stranezza, corruzione, o difetto evolutivo nell’omosessuale, uomo o donna. Punto.
Questo disagio emerge dalla collocazione che il tema ha trovato nello schema della Ratio (sia del 2006 che del 2025): nella sezione dedicata all’ammissione al seminario. Questo piccolo dettaglio in realtà fa sorgere una domanda più profonda: è possibile trovare un altro spazio idoneo per affrontare questo aspetto così significativo per diversi battezzati e battezzate? Guardando alle sfide del ministero presbiterale quella particolare dell’orientamento sessuale sembra essere la meno decisiva per il futuro della Chiesa italiana che, soprattutto sul fronte vocazionale, attraversa una crisi senza eguali.
Probabilmente gli aspetti più vulnerabili sono legati alla cura della sfera affettiva oppure della cultura e della società che richiedono una maggiore considerazione in prospettiva di una riforma del celibato obbligatorio e di una presenza pubblica più incisiva e competente.
Direi che il n. 44 (Ratio 2025) dedicato alle persone omoaffettive (l’orientamento non è una tendenza) avrebbe potuto omettere la parte iniziale. Intendo dire che dopo i numeri precedenti, il n. 42 e il n. 43, che trattano della dimensione affettivo-sessuale e lo stile relazionale del candidato al sacerdozio, di ogni candidato al sacerdozio, perché dedicare un richiamo specifico all’orientamento omoaffettivo?
La questione è sempre la stessa: bisognerebbe esplicitare il punto di partenza: sono soggetti con delle anomalie per cui occorrono attenzioni puntuali? Certo all’interno di un ambiente maschile ci possono essere stimoli maggiori per quanti hanno un’attrazione verso il medesimo sesso, ma l’attenzione andrebbe rivolta alle motivazioni e alla solidità affettiva della persona, non al suo orientamento. Perché tutti, etero e omoaffettivi, prima o poi, avranno da imparare a gestire pulsioni e occasioni di deviare dal cammino. Il seminarista e il sacerdote omoaffettivo non hanno una fragilità “in più”.
Nella Ratio del 2006 viene citata la lettera della Congregazione per l’educazione cattolica (Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, 4.XI.2005) per sostenere che l’orientamento omosessuale è “problematico e incompatibile” al ministero presbiterale. Poi si specifica che eventualmente il candidato può essere ammesso al seminario solo se “avverte la sua debolezza come un corpo estraneo alla sua personalità”.
Cioè si dice che le debolezze devono essere avvertire come estranee a ciò che veramente si è. Questo non fa altro che accentuare il rischio “che la persona che ha una tendenza omosessuale senta di realizzare la volontà di Dio nella propria vita semplicemente cercando di non essere ciò che è” (S. Guarinelli, Omosessualità e sacerdozio, Ancora 2020, 18).
Non c’è alcuna incompatibilità tra orientamento omoaffettivo e scelta vocazionale. Lo dico subito e chiaramente. In un precedente testo “Percorsi vocazionali e omosessualità” del 2020, uscito a poca distanza da quello di don Guarinelli e seguito da quello di don Paolo Pala, ho approfondito i passaggi ambigui che il testo del 2016 presentava riguardo all’orientamento sessuale e che in questa Ratio sono stati riproposti.
Qui dico almeno brevemente che qualunque comportamento eccentrico, rumoroso o dissonante rispetto alla scelta del celibato (“praticare l’omosessualità”) non è ammissibile per nessun candidato. Finché l’orientamento omoaffettivo non venga riconosciuto come dono di Dio, come meravigliosa risorsa di cui la persona dispone, e che entra a pieno titolo nella dinamica vocazionale d’amore si rimane fermi su convinzioni inconsistenti.
In passato la formazione al ministero presbiterale era sorretta da una esasperazione della teologia dell’alter Christus che considerava il prete quasi un dio, senza limiti o fragilità. Un’impostazione ideale e rigida distante dal magistero di papa Francesco che esorta – famiglie e presbiteri – alla cura e al discernimento delle fragilità, quale luogo teologico in cui aprirsi alla misericordia di Dio.
Nonostante gli evidenti sviluppi compiuti nella Ratio del 2025, viene citata nuovamente la Lettera della Congregazione per l’educazione cattolica del 2005, in particolare quel riferimento piuttosto problematico che non viene elaborato ulteriormente: “Suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”.
Non sarebbe opportuno chiarire in che misura questa “debolezza” diventi “ostacolo” alle relazioni, ricorrendo ai numerosi studi scientifici in merito oppure si preferisce rimanere nel generico evitando di affrontare apertamente la questione? Inoltre dopo questa citazione del 2005 la riflessione della Ratio 2025 prosegue, quasi deviando, attraverso la proposta di un discernimento integrale della persona che apre ad una possibile “armonia generale” che ogni candidato è chiamato a trovare prima dell’ordinazione.
Colpisce molto la reiterata e grave affermazione del difetto di relazionalità nell’omosessuale. Grave perché manca di documentazione scientifica, e quindi alimenta un diffuso pregiudizio che non si comprende dove trovi le sue fonti.
Ricordiamo che stiamo parlando di persone con storie concrete con tutta la sofferenza che una mal comprensione come questa continua a provocare in loro. Non c’è alcun difetto all’origine di una persona omoaffettiva, né in lei, né nel suo ambiente di crescita, di conseguenza non c’è – a prescindere da chi la persona sia – una debolezza, un deficit, uno svantaggio a livello affettivo e relazionale.
La persona omoaffettiva può amare, avere amicizie, portare avanti il ministero, rispondere alla chiamata di Dio rimanendo se stessa, con i talenti di cui dispone tra cui l’orientamento sessuale, qualunque esso sia. Ci sono presbiteri omoaffettivi testimoni dell’Amore, portatori di Speranza, che amano la Chiesa e il loro ministero. La differenza la fa la persona, non l’orientamento.
Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 1 ottobre 1986 https://search.app/Jz7oHGGKMCWNBfaN9
Persona Humana – Alcune questioni di etica sessuale, 29 dicembre 1975 https://search.app/KBrWz6x4AXsnVm69A
Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali https://search.app/5vkHofDjsjY1LMBk6
Farei solo notare che vi è un buon numero di chiese protestanti conservatrici (come la Presbyterian Church in America o vari membri di Affinity UK) che invece permettono alle permettono alle persone omosessuali, previa verifica delle qualità personali e della vocazione, di accedere a qualsiasi ministero ecclesiale.
Perché loro si e la Chiesa Cattolica, almeno formalmente, no?
Forse noi abbiamo vari problemi a livello strutturale e formativo, e il vecchio divieto volevo essere un tappabuchi?
“Il re è nudo”
E quel che è peggio è che non se ne vergogna neanche un po’
Sono molto d’accordo con questo articolo, io per prima sono bisessuale, e molto spesso sono stato tagliato fuori da qualsiasi discorso. Volevo entrare in seminario e non mi è stato permesso, ho avuto diverse guide spirituali, ma mi hanno solo portato a letto, poi quando si sono presentate le difficoltà si sono tutti dileguati senza intervenire, ho un parroco per tanto io voglio bene, ancora chiuso sotto quest’aspetto, ma anche metà della comunità che frequento ancora si scandalizza di questo lato, manco fossimo alieni. Ci sono membri della comunità che hanno figli gay in casa, e continuano a puntare il dito quando dovrebbero fare i conti con la realtà che fanno fatica ad accettare. Insomma potrei continuare all’infinito ma mi fermo qui. Dio è uno solo e ama tutti indistintamente dalla nazione, dal colore, e dalla sessualità.
Certo li ama …….per convertirli non per farli andare all’Inferno.
Non giudicare per non essere giudicata. Perché il giudizio sarà senza misericordia per chi non ha usato misericordia.
Il guidizio sulle persone lo fa Dio; il gudizio sulle condotte lo fa la Dottrina che noi professiamo. Anche quando ci costa e ci rende “indigeribili” al mondo come hanno fatto i martiri.
Chi si loda si imbroda.
Ma se si convertono e vivono castamente perché non ammetterli al ministero ecclesiale?
Oppure devono rimanere cattolici di serie B solo perché omosessuali?
L’unica cosa che mi sento di commentare è che, nonostante ormai il Nemico operi ormai alla luce del sole, il mio cuore riposa sulla promessa “Non praevalebunt”.
Il Nemico ormai è identificato con le persone omosessuali perché, girardianamente, c’è bisogno di un capro espiatorio ben visibile a cui imputare le colpe collettive
Il vero Nemico è chi abbatte il recinto e lascia che la perversione dilaghi.
Il nemico è chi suggerisce certi messaggi privi di misericordia verso le persone.
Il nemico è chi vuole far passare per bene quello che è peccato mortale. In questo momento è in gran spolvero il peccato sodomita …domani chissà. E’ il mondo a dettare l’Agenda ed il Papa ad obbedire.
Mi pare che anche la durezza di cuore sia un peccato all’ordine del giorno.
E da quando in qua ammonire i peccatori (nel senso di renderli consci di ciò cui vanno incontro: l’inferno) è peccato?
La durezza è lasciare che vivano nel loro peccato senza ammonirli (opera di Misericordia spirituale); io ringrazio Dio per chi mi ha ammonito a volte duramente.
Certe volte però questo ammonire sembra più una roba così: vivi una vita di merda e soffri in questo mondo, sennò Dio ti farà soffrire per tutta l’eternità nell’altro.
Ha funzionato per un po’, ora non più. E ha creato la ‘godscare’, la paura di Dio (e sinceramente questa roba può anche andare avanti senza la Redenzione in Cristo).
Molto interessante questo articolo e lo si vede da quanti commenti abbia ottenuto nel giro di poche ore, segno che la questione è molto sentita, indistintamente da tutti. L’omosessualità esiste come variante assolutamente “naturale” fin da quando esiste la storia dell’uomo e della vita … non è facile definire ciò che è “naturale” e ciò che non lo è … dal momento che un cosa esiste dovrebbe essere già di per sè “naturale” .. Troppo facile sostenere che il maschio-etero-bianco-cristiano sia più amato da Dio rispetto a tutte le altre possibili combinazioni e varianti. L’omofobia è figlia diretta del maschilismo. La Chiesa, più di ogni altra istituzione, deve fare i conti con l’omosessualità … parlo per esperienza personale, la percentuale di omosessuali di chi frequenta le sacrestie – religiosi o laici – è indiscutibilmente più elevata che fuori. Ma il punto, a mio parere, è un altro e sta a monte. Il problema è lo storico atteggiamento sessuofobico e millenario della Chiesa, che va di pari passo al maschilismo e all’omofobia. No alle donne, no ai gay perchè solo il maschio-etero è degno. Fino a che non si sgretolerà questo sistema di potere e la sessualità umana non verrà considerata come uno dei tanti aspetti delle nostre personalità non ne usciremo. In fondo basterebbe rileggere i Vangeli e chiederci quanta importanza ha dato Gesù Cristo a questi aspetti (sei etero? sei gay? hai tendenze? pratichi o no? sei donna? sei uomo? forse Gesù chiedeva questo ai suoi interlocutori?) e quanta invece all’amore fraterno, al rispetto per l’altro, alla dignità di ciascuna persona? Perchè ci poniamo solamente il problema se il seminarista ha tendenze omoaffettive o eteroaffettive e invece non ci chiediamo se ha tendenze all’egoismo, all’avarizia, all’aggressività, al possesso, alla falsità …… ?
Concordo pienamente con l’affermazione secondo cui “l’orientamento omoaffettivo rappresenta una variante naturale, non patologica, non disfunzionale della sessualità umana. Non c’è malattia, stranezza, corruzione, o difetto evolutivo nell’omosessuale, uomo o donna”. Ineccepibile, come confermato dalla Scienza. E a parte il fatto che l’orientamento sessuale di una persona e le relazioni che essa intrattiene sono affari suoi, l’omosessualità non è un crimine, “la persona omoaffettiva può amare, avere amicizie, portare avanti il ministero”, svolgere qualsiasi occupazione e vivere pienamente e serenamente la propria vita come gli eterosessuali. Siamo nel 2025, non nel Medioevo, ed è ora di smetterla con i pregiudizi e le discriminazioni verso gli omosessuali, che sono frutto della più abissale ignoranza.
Finalmente una parola risolutiva sulla questione: troppe volte sono stati allontanati dai seminari candidati al presbiterato, che non avevano sotto questo aspetto i requisiti richiesti dalle indicazioni della Congregazione per l’educazione cattolica. A molti sembravano norme obsolete e inopportune, ma questi non potevano parlare, per non finire nella lista degli eretici. A quando un mea culpa e una richiesta di perdono da parte del dicastero?
Secondo le mie esperienze personali credo che il problema maggiore sta nelle relazioni con le donne- le giovani donne di carriera fanno il pieno di femminismo per cui respingono gli uomini migliori che vorrebbero crearsi una famiglia- I giovani e non solo giovani uomini , non trovando ragazze-donne di vecchio stampo , quelle donne forti,sane e di robuste di costituzione fisica e spirituale , desiderose di essere considerate “donne vere” , capaci di dare soddisfazioni di ogni genere agli uomini— optano per la vita con altri uomini— non è un fenomeno che riguarda oggigiorno e neanche i seminaristi— abbiamo creato una schiera di donne manager- in carriera- non hanno il tempo e non hanno la voglia di stare restare chiuse in casa – e tanto meno fermarsi per 12 ore in cucina o nella lavanderia lavando i panni di una dozzina di bambini
Il problema riguarda gli atteggiamenti delle DONNE
Non si capisce perche’ l’omoaffettivita’ va bene e i comportamenti pratici che ne derivano no, non vanno bene .E’ assurdo : e’ come dire si tu puoi amare una ragazza ( un ragazzo) ma non puoi baciarla ne’ avere gesti fisici con lei/ lui .
Siamo nell’ assurdo. Pensate forse che i seminaristi gay siano dei robot? Che abbiano un “imoacfertivita’ ” ma poi pero’ il.liro corpo viaggi in una realtà” parallela? La Chiesa odierna si perde nelle nebbia dell’ irrealta’ . Nonhanno coraggio e la franchezza di ammettere i rapporti gay fra seminaristi ( e poi fra preti) ,di ammettere che alcuni vogliono fare sesso con gente del proprio sesso e proprio di questo si tratta! Non di cazzabubbole tipo omoaffettivita’ .
Parlare chiaro gerarchie ecclesiastiche , Leggete Proust .Il vostro parlare sia si, si , no ,no .
Se no siete ridicoli
Bene. Quindi per Chiara d’Urbino possiamo tranquillamente stracciare le pagine della Scrittura dove “l’accendersi di passione per quelli dello stesso sesso” viene considerato un abominio.
Sicuramente si dirà che era una concezione antiquata ma capisce che così non ne usciamo. In questo modo potremmo considerare “antiquato” l’ intero Libro.
Una cosa è o non è. Punto.
Inoltre la tanto citata comunità scientifica non ha portato una sila prova scientifica che quanto afferma, cioè che l’attrazione omoaffettiva sia una cosa naturale. Non esiste né uno studio esaudiente, né una prova reale. Viene da pensare che a più di qualcuno di quella stessa comunità scientifica facesse “comodo” affermare così. O no?
Molte prove invece esistono nell’osservazione del fenomeno che gli individui omoafettivi presentano caratteri comuni riguardo alla loro sensibilità, emotività, traumi, ferite e situazioni familiari.
Parlo per esperienze personali.
Panta rei diceva Eraclito. Passano anche le interpretazioni letterali delle sacre scritture.
Amici, mettiamoci d’accordo. “L’orientamento omoaffettivo rappresenta una variante naturale, non patologica, non disfunzionale della sessualità umana”? Sul catechismo scrivete altro. E non mi pare che sia scritto diverso ora da quando lo facevamo da ragazze. C’ero quando è stato scritto questo:
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html
Allegria!
Mi sembra che alla base di tutto questo discorso ci sia una profonda incoerenza nel mondo ecclesiale oggi, a diversi livelli.
Tanto per fare un esempio: perché un po’ si sostengono le stesse idee di questo articolo e un po’ – di fronte alle nuove norme CEI sui seminari – ci si affretta a dire che in realtà non è cambiato nulla rispetto a prima sulla tematica in questione (cf. Avvenire)? Oppure, per andare un po’ più indietro: perché si dice che anche coppie omosessuali possono essere benedette (dic 23), poi che la benedizione deve essere di al massimo 10-15 secondi (inizio genn 24) e infine che non si benedice la coppia, ma i singoli (febb 24)?
Entrando nello specifico: chi è Consultore al Dicastero del Clero (prof. D’Urbano) cosa ha da dire sull’insegnamento ecclesiale sulla questione dell’omosessualità (cf. CCC 2357-2359) in rapporto a quanto scrive qui? Come concilia due visioni che non si possono armonizzare? Come tiene insieme il suo servizio in un organismo ecclesiale e l’evidente “tensione” (per usare un eufemismo) con quanto il Magistero ecclesiale insegna? Va bene tutto, ma il “principio di non contraddizione” andrebbe onorato.
Concludo: mi pare che sulla questione dell’omosessualità le confusioni – pratiche e non solo – siano, a livello ecclesiale, all’ordine del giorno. E questo non aiuta certo alla chiarezza, né tantomeno è un servizio alla verità. Di che cosa abbiamo paura? Ci pentiamo di quanto è stato scritto nel CCC, di quanto la Chiesa ha sempre insegnato sulla questione? A che gioco stiamo giocando?
Caro Roberto, gentile Chiara D’Urbano, innanzitutto grazie per il vostro contributo, che trovo bello innanzitutto a livello metodologico nel suo essere redatto a 4 mani. Entrando nel merito di ciò che scrivete, vorrei accostare tra loro due passaggi a prima vista eterogenei: “Guardando alle sfide del ministero presbiterale quella particolare dell’orientamento sessuale sembra essere la meno decisiva per il futuro della Chiesa italiana che, soprattutto sul fronte vocazionale, attraversa una crisi senza eguali. […] Colpisce molto la reiterata e grave affermazione del difetto di relazionalità nell’omosessuale. Grave perché manca di documentazione scientifica, e quindi alimenta un diffuso pregiudizio che non si comprende dove trovi le sue fonti”. Ho pensato di accostare questi due passaggi, perché mi sembra che in qualche modo il secondo risponda al primo: la questione dell’orientamento sessuale è assolutamente decisiva come baluardo del perdurare dell’autoreferenzialità della chiesa ufficiale, su vari livelli. In questo momento me ne vengono in mente tre. 1) È un punto specifico sul quale sta o cade la possibilità di una lettura letteralista della Bibbia: vedi nel merito la posizione delle conferenze episcopali africane, alle quali il metodo storico-critico è semplicemente in gran parte sconosciuto. 2) È un punto specifico sul quale sta o cade la possibilità di un insegnamento ufficiale della chiesa sganciato da qualunque riferimento alle scienze umane se non come “scienze ausiliarie”: la chiesa non si fa dettare da nessuno di esterno il proprio insegnamento, tantomeno dalle scelte dell’OMS! 3) È un punto specifico sul quale a livello ufficiale si dovrebbe semplicemente dire: “negli ultimi decenni ci siamo sbagliati”. E non credo che nessuno abbia intenzione, e soprattutto capacità, di fare una scelta del genere mettendola nero su bianco (da soli, i gesti profetici sono semplicemente ambigui, perlomeno fino a quando qualcuno non si assume la responsabilità di collegarli a parole esplicative della realtà che quei gesti manifestano), per diversi anni ancora, perché farlo aprirebbe un enorme ventaglio di conseguenze ecclesiastiche non prevedibili. In ballo ci sono questioni ecclesiastiche, sostanzialmente di potere, e nello specifico del potere che deriva dal mantenimento di una certa immagine, in vista della propria autoconservazione. Naturalmente questo non significa che, nel fare scelte di volta in volta ritenute vincolanti, a livello ufficiale si sia mossi solo o prevalentemente da un proposito esplicito di autoconservazione istituzionale; ma che questo proposito sia, spesso inconsapevolmente, assolutamente al cuore delle proprie scelte, a me sembra un dato… Fino al momento in cui arriva qualcuno a dire (mettendolo nero su bianco) che è possibile autoconservarsi anche dicendo altro rispetto a quanto si è detto precedentemente. E a quel punto, gradualmente, la giostra riparte. Naturalmente tutto questo lo si potrà chiamare “maturazione dell’autoscienza ecclesiale”, o in altri modi; ma dare un bel nome alle cose non ne migliora la realtà. Io ci vedo solo parecchia inconsapevolezza del proprio “diffuso pregiudizio”. Un carissimo saluto.
Ritengo personalmente che seminari e presbiterii siano già pieni di persone omoaffettive e omosessuali che accompagnano con agiti diffusi la loro omoffettivita venendo sistematicamente meno al precetto della tendenza alla perfezione richiesta dal Signore. Non si può pensare di difendere e tutelare solo l’aspirante seminarista omosessuale, dimenticandosi dell’insegnamento apostolico paolino e delle esigenze di vita specchiata ed esemplare richieste per esercitare il ministero. Senza poi dimenticare la tendenza alla costituzione di club gay intro ecclesiali di gestione del “potere” in base all’appartenenza o meno al gruppo.
Chiara D’Urbano asserisce (sbagliando) che l’omosessualità rientra a pieno titolo (per la Biologia, che è la Scienza che della “vita” si occupa) nello schema naturale del fenomeno che chiamiamo vita. Pur senza preconcetti di sorta, l’affermazione in questione va corretta: non può dirsi “in linea con la sopravvivenza di una Specie” un comportamento che rende impossibile la procreazione all’interno di tale Specie.
Sono d’accordo. Per riprendere il linguaggio dell’autrice mi sembra che “disfunzionale” (almeno nel senso della specie) sia il minimo da dirsi. E poi tutto questo unanime consenso scientifico mi pare che non ci sia: ci sono invece molti seri professionisti, medici e psicologi, che confessano di non potere più dire ciò che pensano per non essere ostracizzati
Mi perdoni, non voglio offenderla, ma la sua affermazione è ignorante quanto superficiale. Come ci poniamo, ad esempio, nei confronti di sindromi policromosomiche, come quella di Down, che impediscono la procrazione rendendo il soggetto sterile. La biologia che lei invoca lo ha sempre considerato un sistema cautelativo della canonicità genetica. Questo, tuttavia, non risolve che chi sia portatore di tali sindromi, per un credente, sia espressione di vita e figlio di Dio allo stesso modo di chi di cromosomi ne possiede un numero canonico. In effetti se Dio riconoscesse come abominio alcune sue stessa creature, dovremo ammettere una serie di paradossi nel comune intendere che farebbero d’un sol balzo crollare tutto il castello, ovvero quello del Dio buono, del creatore di perfezione onniscente ed onnipotente, etcetera, etcetera, etcetera… perché non solo sbaglierebbe, ma persisterebbe nel farlo rinnegando i suoi stessi sbagli.
Forse studiare di più la Biologia non farebbe male.
La sopravvivenza di una specie dipende da molti fattori, e la scelta/orientamento sessuale dei suoi individui non è il più fondamentale. È inoltre dimostrato che è più vantaggioso che solo alcuni individui si riproducano, mentre gli altri si preoccupano di proteggere i propri fratelli e sorelle, con cui condividono una percentuale maggiore di geni che con i propri eventuali discendenti. Anche solo nel ristretto ambito dei Primati, di cui fa parte Homo sapiens, abbiamo organizzazioni sociali di vario tipo, da quelle in cui si riproduce solo la coppia dominante a quelle in cui è praticato l”amore libero”. E oltretutto, tra i Primati è dimostrato che l’atto sessuale ha MOLTI altri significati sociali, oltre a quello riproduttivo: dal gesto di dominio a quello di pacificazione, dalla necessità di rinsaldare i legami sociali a quella di creare alleanze all’interno del gruppo più ampio. E per questo spesso è praticato indifferentemente tra sessi diversi o tra lo stesso sesso e fuori dai periodi riproduttivi.
Prima di ipotizzare un qualche atto come “contro natura” sarebbe bene studiarla, la natura…
E invece risulta essere un elemento naturale di controllo delle nascite e quindi pienamente inseribile in un elemento di vantaggio per la specie.
Significa allora che alcuni elementi non si riproducono per non daneggiare la specie
Soprattutto possono aiutare economicamente e non solo chi i figli li fa.
Molto interessante questo articolo che inquadra perfettamente una situazione presente in molti frangenti della vita laica e cristiana.
L’ essere consapevole di una condizione che riguarda il talento e l’inclusione, dona alla fede la sua dimensione più profonda ed articolata.