L’Unione Europea e la Siria

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UE siria

È successo qualcosa di epocale in Europa e non ce ne siamo accorti. Per cogliere appieno è il caso di partire dalla fine.

Ossia dalla lettera firmata da 18 ministri degli esteri europei, nella quale, riguardo al regime siriano di Bashar al Assad, si afferma: “Data la gravità dei delitti, continuiamo a chiedere che la Corte Penale Internazionale venga autorizzata a indagare sui crimini assertivamente commessi in Siria e a perseguire i responsabili. Per contrastare la strategia di coloro che bloccano il deferimento alla Corte da parte del Consiglio di Sicurezza, stiamo lavorando per garantire che i fatti siano documentati, in attesa dell’esame da parte dei giudici competenti. Abbiamo quindi sostenuto la creazione dell’International, Impartial and Independent Mechanism [Meccanismo internazionale, imparziale e indipendente], con lo scopo di raccogliere e preservare le prove per procedimenti futuri.

Questi sforzi sono essenziali. Sosteniamo anche il lavoro della Commissione internazionale d’inchiesta indipendente, che documenta le violazioni dei diritti umani nel conflitto siriano. È fondamentale che le violazioni, documentate in maniera così approfondita, finiscano immediatamente. Siamo anche determinati a far rispettare tutte le norme internazionali per proteggere i diritti di tutti i Siriani, come dimostrato dalla recente azione avviata dai Paesi Bassi per chiedere alla Siria di rendere conto delle violazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura. I tribunali nazionali, alcuni dei quali hanno già avviato procedimenti giudiziari, svolgono un ruolo importante in questo senso.

In molti dei nostri Paesi sono già stati avviati procedimenti giudiziari ed emesse sentenze definitive contro i colpevoli. Già nel 2016 i tribunali svedesi hanno iniziato a perseguire i gravi crimini commessi in Siria. Il mese scorso, un tribunale di Coblenza, in Germania, ha emesso una prima storica sentenza contro un ex membro dei servizi segreti siriani per favoreggiamento di crimini contro l’umanità. Sono in corso procedimenti giudiziari anche in Francia; a Parigi è stata recentemente presentata una denuncia per gli attacchi chimici commessi dal regime siriano contro il suo popolo”.

Le vittime operatrici di giustizia

Dieci anni dopo l’inizio di un’operazione sistematica di sterminio con i mezzi più efferati, facilitata dall’inerzia globale, accompagnata dalla manifestazione di reazioni altrettanto efferate, l’Europa espressamente riconosce che l’azione giudiziaria avviata in alcuni Paesi dell’Unione è giunta a “smuovere le coscienze”.

Chi ha dato impulso a tale azione giudiziaria? Le autorità politiche statuali, europee o internazionali? No, queste, da sé, non hanno attivato alcunché. Sono stati dunque i “vincitori” della guerra, così come fu dopo la II Guerra Mondiale a proposito dei gerarchi nazisti? No, anzi, i vincitori – o ritenuti attualmente tali – sembrano piuttosto ostacolarla. Per la prima volta – almeno in Europa – sono state le vittime a richiedere e a rendere praticabili le azioni giudiziarie, facendo appello a principi di universalità del diritto, in tal senso ritenuti validi da tutti i tribunali.

È accaduto infatti che in Germania alcuni siriani, fuggiti all’estero, abbiano (quasi) causalmente riconosciuto due ex-funzionari della repressione: con coraggio e determinazione hanno elevato, contro i due, il reato di crimine contro l’umanità. La corte interpellata ha ritenuto di poter procedere. Per uno dei due agenti, questa corte ha già pronunciato la sua sentenza di condanna: precisamente per favoreggiamento di crimini contro l’umanità.

La sentenza di Coblenza

La sentenza è stata resa possibile dalla precedente, incredibile, quantità di dati – internazionalmente verificata – raccolta e trafugata all’estero dal disertore siriano “Caesar”, che di sé stesso ha detto: “il mio compito era documentare la morte”. Il sistema era – e resta – semplice: il regime identificava e documentava le eliminazioni apponendo un numero accanto ad ogni corpo.

Poi la vittima spariva inghiottita nelle fosse comuni e solo i vertici dei servizi segreti militari conoscevano con esattezza l’identità delle persone eliminate, dove e quando.  “Caesar” – questo il nome in codice scelto per questo funzionario della polizia militare – era incaricato di fotografare tutte le vittime nella zona dove lavorava nella città di Damasco, in maniera che le sembianze delle persone morte e i corrispondenti numeri fossero ben visibili. Prima del 2011 il suo lavoro era “limitato”: un paio di impegni a settimana, raramente di più. “Caesar” ha dichiarato che il regime “normalmente” torturava detenuti per ottenere informazioni, ma che, dal marzo 2011, ha iniziato a torturare col solo scopo di uccidere.

Così il suo lavoro è divenuto un inferno: centinaia di corpi venivano accatastati in uno spazio sempre più insufficiente, dall’odore insopportabile come insopportabile è rimasto il ricordo degli uccelli rapaci che infilavano il becco nelle orbite delle vittime ovvero la vista degli insetti alle prese con il sangue. “Caesar” ha testimoniato la sua angoscia nella esperienza della prossimità ad una vittima che scoprì che non essere ancora morta. “Caesar” rientrava a casa in lacrime. Vedeva nei volti delle vittime quelli dei suoi congiunti e di tutti i siriani.

Con l’aiuto dell’amico “Sami”, a un certo punto ha deciso che tutti avrebbero dovuto sapere, che quelle vite non potevano rimanere dimenticate nelle fosse comuni. Parlare con qualcuno di cui potersi fidare ha rotto il cerchio della sua paura. In Siria non si parla con nessuno: chiunque può essere una spia. Ma “Sami” ha accettato di divenire suo compagno solidale nell’impresa, senza esitazioni. Mentre era ancora impegnato in questo sporco lavoro, “Caesar” ha avuto il coraggio di scaricare tutte le foto in chiavette USB, vivendo ogni giorno nel terrore di essere scoperto. All’ora di chiusura del servizio – le 22.00 – usciva con la chiavetta nascosta nelle scarpe. Quando ha deciso di fuggire dalla Siria – nell’agosto 2013 – aveva con sé 53.275 fotografie relative a 11mila vittime.

Contabilità dell’orrore

Perché il regime teneva quella minuziosa contabilità? Perché quel numero segreto veniva fotografato accanto ad ogni corpo? La tesi di “Caesar” è che i numerosissimi servizi segreti siriani non si fidassero l’uno dell’altro e siano tuttora, volutamente, tenuti in concorrenza l’uno con l’altro.  L’autenticità delle sue foto e delle sue testimonianze è stata comprovata nel 2014 da una Commissione indipendente d’inchiesta presieduta dai giuristi Desmond de Silva e David Crane, già Procuratori del Tribunale Speciale per crimini in Sierra Leone.

L’ultima autenticazione è stata effettuata da Human Rights Watch con la cooperazione di medici legali di Physicians for Human Rights. Il lavoro si è protratto per 9 mesi su 27mila delle fotografie in questione. È stato prodotto un report di 86 pagine: “Se i morti potessero parlare”. Una selezione delle foto di “Caesar” è stata esposta al Museo dell’Olocausto di Washington, al Congresso americano, al Palazzo di Vetro dell’Onu e poi al Museo Maxxi di Roma, grazie all’impegno del senatore Luigi Manconi.

Non è sulla gravità devastante dei crimini perpetrati dal regime siriano che qui, tuttavia, voglio portare la massima attenzione, quanto sull’alto valore morale del processo innescato dalle testimonianze e dalle stesse vittime, che non hanno cercato il ricorso ad altra violenza, bensì alla giustizia internazionale.

La giustizia possibile

Tale ferma determinazione di credere nella giustizia e di individuare legali in grado di rappresentare in giudizio, ha infatti un enorme valore per la lotta al terrore, quello dei singoli Stati come delle organizzazioni terroristiche. Troppo spesso alle vittime non resta da pensare che, in questo mondo, non esista altro che la vendetta.

Per queste vittime, no! Loro hanno creduto nella giustizia. È stata la scelta di chiedere giustizia non contro la legge, ma con la legge, ad aver scosso – ritengo – l’Europa: non tanto, purtroppo, i media, che hanno prestato una assai contenuta attenzione; non tanto l’opinione pubblica che, distratta da altro, è rimasta piuttosto lontana. Solo i passi coraggiosi e fermi delle vittime hanno turbato una politica europea che finalmente ha dovuto interrogarsi e dare una risposta.

L’atto politico è di enorme rilevanza, specie in questo momento, in una Europa che appare – almeno per un attimo – riscoprire i propri valori fondativi di libertà e di democrazia. Se così è – ma non possiamo dare nulla per scontato e soprattutto per duraturo – gli sconfitti hanno, per una volta, vinto: ossia, nella storica lotta tra umanità e disumanità, hanno re-indicato alla politica la strada della umanità possibile.

Questo dato, se fondato, vale per tutte le categorie delle vittime: le vittime della “cultura dello scarto”, le vittime dell’indifferenza, le vittime di “un’economia che uccide”, persino le vittime lasciate volutamente e totalmente indifese, in tante parti del mondo, contro la pandemia. Ora tutte le vittime hanno un precedente di giustizia. La politica non può permettersi di dimenticare, rimuovere, abbandonare nessuna vittima. E queste possono ancora vincere, ma confidando unicamente nell’arma non violenta della giustizia.

Non fermarsi qui

Chiaramente siamo solo e sempre all’inizio di un percorso. Dico che questa è solo una prima tappa del possibile ritorno dell’umanità dalle macerie della disumanizzazione. La Siria è uno dei principali campi di battaglia ove gli estremi opposti si sono uniti contro la giustizia, disumanizzando e demonizzando “l’altro”: sia “l’altro (cristiano) occidentale”, presentato come nemico dell’umanità all’opinione pubblica islamica, sia “l’altro musulmano”, presentato nello stesso identico modo all’opinione pubblica occidentale.

Da qui – da “Caesar”, dai testimoni di Coblenza, dai processi in corso, dalla lettera dei 18 ministri degli esteri europei tra i quali l’italiano Di Maio – possiamo cogliere gli elementi di novità di un processo di ri-umanizzazione della politica – nel confronto con “l’altro” – sostenuto dalla umanizzazione, mai conclusa, di noi stessi, di ciascuno, personalmente.

Insieme notiamo un germoglio che non può essere magnificato, ma di cui dobbiamo prendere grande cura. Ne va del futuro della Siria, ma, evidentemente, non solo. Per certi versi la guerra di Siria – coi suoi metodi brutali – sta contagiando il mondo. Questo evento può e deve segnare una netta inversione di tendenza.

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