Crimini del colonialismo italiano

di:

benevelli

Presentazione del libro di Alessandro Ghebreigziabiher, Nato da un crimine contro l’umanità. Dialogo con mio padre sulle conseguenze del colonialismo italiano, prefazione di Salvatore Palidda, novembre 2022, gruppo editoriale Tab s.r.l. Roma.

L’autore, Alessandro Ghebreigziabiher, è nato a Napoli nel 1968 da madre napoletana e da padre eritreo, vive a Roma, tifa per la Roma, è un cittadino italiano, è laureato in Informatica, è autore di romanzi, racconti e testi teatrali. Il padre, nato nel 1936 e morto nel 2005, si stabilì in Italia a metà degli anni ’60, pioniere quindi dei matrimoni misti e dell’immigrazione dall’Africa.  Di qui il titolo provocatorio: Nato da un crimine contro l’umanità.

Alessandro si aggira oggi per le vie di Roma intitolate a personaggi, battaglie e vicende del colonialismo italiano: Dogali, Makallé, Amba Alagi, i Cinquecento, la guerra d’Etiopia e tanto altro ancora che riguarda pure Libia e Somalia. Si rivolge al padre, da cui ha ereditato la pelle scura, ricostruendo le relazioni fra italiani, eritrei, etiopi, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, a partire da Giuseppe Sapeto (1811-1895), missionario lazzarista in Africa, definito “protettore dei lebbrosi”, esploratore e agente del governo italiano che, nel 1869, fece da mediatore dell’acquisto della baia di Assab da parte della Società di navigazione dei fratelli Rubattino – dai fratelli Ahmad – per la somma di 6.000 talleri austriaci: fu, quello – come noto – l’inizio del colonialismo italiano. Il 1869 fu anche l’anno dell’apertura del Canale di Suez.

Alessandro ricostruisce tappe ed eventi di un’avventura coloniale italiana «costellata da madornali errori strategici e umiliazioni di livello internazionale», ma ciò che cita continuamente è la ferocia dei combattimenti e, per tutti, l’uso criminale del gas nell’aggressione fascista all’Etiopia, come pure la crudele repressione della resistenza libica, ricordando che a morire, con e per gli italiani, furono assai numerosi gli ascari africani, mai tuttavia ricordati per il loro sacrificio.

Puntualmente, sottolinea come il razzismo fascista abbia avuto la cura di codificare le norme di relazione fra italiani e popolazioni dell’Africa orientale, prima delle leggi razziali contro gli ebrei.

L’autore segue poi il racconto del dopo Seconda Guerra Mondiale e le complicate relazioni fra Eritrea ed Etiopia fino ad aggi.

Negli anni ’50 del secolo scorso, quando l’Eritrea era una provincia dell’Etiopia, quello che sarà il papà di Alessandro è venuto in Italia per fermarvisi, unico di una famiglia i cui componenti erano emigrati invece in Canada, Stati Uniti, Germania. Ha voluto costruirsi una vita qui, diventando cittadino italiano, ma ha dovuto affrontare, non solo il pregiudizio razzista che ha accompagnato il suo essere un nero africano, ma anche l’ignoranza e il disconoscimento dei delitti compiuti dagli italiani contro le popolazioni  assoggettate in Africa. A Roma egli è stato solo un africano di pelle nera, mai un eritreo.

Nel libro si legge del grande amore del padre – coronato dal matrimonio – per una donna italiana napoletana, che, a sua volta, ha dovuto patire la diffidenza e l’ostilità della famiglia del marito, ogni volta che hanno fatto visita ai parenti.

Alessandro ha incontrato gli stessi problemi del padre, ma con alcune differenze, perché, col trascorrere degli anni, è aumenta la presenza in Italia – a Roma in particolare – di persone immigrate dall’Africa. Così, quando, alla fine degli anni ’80, si iscrive all’Università, alla Sapienza, verrà apostrofato come il “marocchino”, perché l’Eritrea ha continuato a non esistere nell’immaginario  dei suoi coetanei italiani.

Alessandro rende onore al padre riconoscendogli il ruolo di pioniere di una società multiculturale e lo ringrazia dell’impegno e della fatica di portare a compimento un’integrazione resa difficile dagli stereotipi xenofobi – negro, extracomunitario, migrante, terrorista, islamista, clandestino ecc. – diffusi nella società di cui è divenuto cittadino a pieno titolo.

Il libro racconta dunque la storia “privata” di una famiglia italiana, ma è anche un agile riassunto della grande storia delle vicende che hanno caratterizzato la presenza colonialista italiana in Africa fra Otto e Novecento, per lo più, volutamente, dimenticata.

È un testo percorso dall’appello alla riconciliazione e ad alla costruzione di un futuro condiviso, perché basato sul sapersi riconoscere in una storia di umanità che è stata ed è comune: non è vero che italiani e africani sono fra loro estranei, perché, insieme, ne abbiamo fatto, davvero, di tutti i colori.

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