In momenti topici del suo discorso pubblico l’attuale presidente del Consiglio inserisce riferimenti storici. Non è, del resto, un fatto inusuale. Lo fanno gran parte degli attori politici. La risemantizzazzione della memoria in funzione degli obiettivi che essi intendono conseguire rappresenta infatti una delle principali vie attraverso le quali si organizza il consenso al potere. Non a caso si è ormai affermata la public history come branca specialistica della storiografia. Si propone di analizzare criticamente l’uso del passato per orientare l’opinione pubblica.
Il ricorso selettivo al passato
Per Giorgia Meloni la questione è particolarmente delicata. Proviene infatti da una famiglia politica che ha le sue radici nel fascismo, una delle più tragiche vicende della storia italiana. La Repubblica è nata proprio per impedirne la riproposizione. Una rapida rassegna del suo ricorso a questo passato costituisce una rivelatrice cartina di tornasole.
All’inizio si trattava di dare legittimazione al suo Governo, prendendo le distanze dal regime. La premier ha ritenuto di risolvere il problema condannando il totalitarismo: non solo tutti i totalitarismi, ma segnatamente quello fascista. Il fatto è che, prima della svolta totalitaria degli anni Trenta, il fascismo ha avuto volti diversi: uno autoritario fino alla metà degli anni Venti e poi, dopo le «leggi fascistissime», dittatoriale.
Meloni non ha mai specificato che la sua presa di distanza dal fascismo si riferiva anche ai momenti di «democrazia illiberale» che pure ne avevano per molti anni caratterizzato il cammino storico. Insomma, il suo rapporto con quel tragico passato si basava su una scelta selettiva. Non era il Ventennio a venire rigettato, ma solo il suo periodo totalitario.
In fondo, a ben guardare, non era un atteggiamento casuale. Le ostentate simpatie per il premier ungherese Viktor Orban, che dell’ossimoro «democrazia illiberale» è l’alfiere, rappresentano un’ovvia spiegazione di questo uso politico della storia. Ma ben presto si è posto alla premier un nuovo problema.
La sua retorica politica era, infatti, infarcita di riferimenti alla «nazione», anche quando era il caso di parlare di Stato. Sollevava quindi un sospetto. Nascondeva forse la nostalgia di quel nazionalismo aggressivo e bellicista che aveva costituito un tratto distintivo del regime? Meloni se l’è cavata, facendo riferimento alla concezione di nazione che era stata proposta da Renan nella seconda metà dell’Ottocento.
A ragione, si ritiene che la visione volontaristica della nazione (il plebiscito di tutti i giorni) elaborata dallo scrittore francese abbia costituito l’alternativa democratica all’impostazione biologico-razziale che prospettava il nazifascismo. Senonché, nell’occasione, Meloni sviluppava ulteriormente il precedente approccio selettivo al passato. Lo integrava, infatti, con un’operazione combinatoria di passi sparsi nel testo di Renan.
Non solo ne sceglieva alcuni, ma tali brani venivano riorganizzati in modo da far risaltare un aspetto che evidentemente le stava particolarmente a cuore: la presentazione dell’elemento connettivo della nazione nel sacrificio per la patria.
Senza dubbio, non ne scaturiva una sacralizzazione del pro patria mori secondo gli schemi della cultura politica fascista. Tuttavia, l’accento cadeva su uno dei suoi presupposti. Infatti, la connessione tra patria e sacrificio rinvia inevitabilmente a quel carattere organicistico della comunità nazionale su cui si basava l’ideologia diffusa nel Ventennio.
Le parole sul «Manifesto» di Ventotene
L’odierna contingenza politica ha, infine, posto la Presidente del consiglio davanti a opzioni decisive per la costruzione di un’Europa unita. In questo contesto è giunta a compiere un passo ulteriore nel suo approccio al passato fascista. La lettura che ha proposto alla Camera del Manifesto di Ventotene, uno dei documenti fondatori del progetto unità politica del continente, non è solo, come in precedenza, selettiva e combinatoria, ma anche decontestualizzata.
Nel suo discorso ha, infatti, riorganizzato le citazioni del testo in modo da far risaltare che lo permeava una visione esclusivamente «giacobina» della democrazia. In realtà, il documento dice altro. Per comprenderne il contenuto, occorre però contestualizzarlo. La difesa dei diritti di libertà e uguaglianza – cui si fa inequivocabile riferimento – passa, in quel momento, anche per un’organizzazione dittatoriale del potere.
Nei mesi della sua redazione regnava in Europa il «nuovo ordine» nazifascista, sicché i settori dell’opinione pubblica «grigi» tendevano ad allinearsi. Occorreva a ogni costo, anche rinunciando provvisoriamente alle formali prassi democratiche, impedire che le vittorie militari del Reich cancellassero la prospettiva che più urgeva in quanto sembrava sempre più allontanarsi: la possibilità di un’alternativa politica.
Anche in questo caso l’uso politico del passato ha una spiegazione. Il rifiuto dell’Europa – conseguenza inevitabile del primato riservato alla nazione – induce la premier a cancellare il contesto che restituirebbe il suo significato storico al documento. Serve poco invocare, a discolpa, che si è soltanto ripetuta la lettera del testo.
In realtà, si è fatta un’operazione ermeneutica che è si è risolta nel nascondimento di un elemento storico fondamentale: l’emergere negli ambienti liberal-democratici della consapevolezza che occorreva ricorrere a ogni mezzo per impedire la vittoriosa avanzata del totalitarismo nazifascista. Senza questa elaborazione, non ci sarebbe stata la Resistenza.
Un’inquietante escalation
Certo, il discorso tenuto da Meloni sul Manifesto può avere anche ragioni spicciole: la competizione elettorale con la becera demagogia nazional-populista dell’alleato Salvini; lo sviamento dell’attenzione dell’opinione pubblica dai nodi economico-politici del paese all’astratto dibattito ideologico; la spinta a indirizzare l’opposizione alla pratica della retorica martiriale, distogliendola ulteriormente dal serio lavoro politico.
Tuttavia, se colto in prospettiva cronologica, l’uso politico del passato ad opera della premier rivela un’inquietante escalation: dalla selettività alla decontestualizzazione, passando attraverso il metodo combinatorio nella lettura dei testi, si disvela il progressivo emergere del nodo irrisolto di una cultura politica che, anziché fare i conti con il fascismo, ai suoi schemi profondi rimane inestricabilmente legata.
Vorrei ripercorre l’importante articolo che apre le note di cronaca di questo numero di Settimananews,dal punto di vista storico illustrativo di un momento politico che è assai difficile non solo per l’Italia, aggiungendo i dettagli contestuali che personalmente ho trovato nel dettagli io stessa via via più preoccupanti nell’impostazione politica di questo governo. Il tentativo di legittimazione del proprio passato fascista da parte di Gorgia Meloni iniziato con il solo rigetto del periodo dittatoriale Ventennio fascista e non con la condanna dei caratteri di illibralità assunti dalle forme di permanenza dello stato di democrazia corrispondente alla sola (classica) asserzione di un’ostilità nei confronti del totalitarismo in quanto tale, ha significato porgere il proprio assenso esplicito agli attuali sistemi illiberali in attività. In quello ungherese di Orban è ancora vivo il ricordo dell’infondata prigionia e dell’umiliante processo giudiziario fatto subire alla cittadina taliana Ilaria Salis accusata di avere aggredito degli esponenti locali dello squadrismo fascista durante una manifestazione di piazza. L’illiberalità del comportamento di tale capo di Stato ci è televisivamente giunta nell’immagine della detenuta portata in tribunale in ceppi che ne impedivano gli arti, corredata dalle notizie riguardo a una carcerazione che ci è stata resa nota in modo analogo, essendosi potuta prolungare all’estero in circostanze altrettanto fisiologicamente restrittive dei diritti elementari della persona.
Con sentimento poco vicino allo sviluppo della storia nella nostra contemporaneità, da parte della Meloni a nome dei tre partiti di destra più o meno estrema che si trovano al governo l’ostinata rivendicazione dell’Italia sotto il suo profilo di “nazione” fin dai primi tempi inserita in maniera oppositiva alle dinamiche conomiche in essere all’interno degli organismi che mantengono in atto il funzionamento politico dell’unione europea. L’idea della nazione, che ha fondato il costituirsi degli Stati nell’età moderna ormai conclusasi da tre secoli è in questo modo utilizzata a beneficio di insorgenti atteggiamenti sovranisti funzionalmente alle istanze belliciste ormai da diversi anni rinate non solo vicino ai nostri confini con l’unilaterale aggressione di Putin all’Ucraina, non ancora interrotta e al momento attuale inserita nella neo-autarchica manipolazione che il presidente americano Trump ha dalla sua elezione avvenuta due mesi or sono altrettanrto imperialisticamente diretto nel senso dell’umiliazione ulteriore del territorio aggred ito, fino aii mesi priecedenti militarmente garantito dall’appoggio dell’allora governo democratico degli Stati Uniti, esternamente alla NATO ma in modo convergente all’appoggio fin dall’inizio espresso dall’Europa.
Per il momento all’apice di tale progressione in questa settimana la bagarre parlamentare e la conseguente agitazione diffusa nel territorio del paese per la mistificazione storica tentata a Palazzo Chigi tramite la lettura dei pochi passi estrapolati dal Manifesto di Ventotene in cui nel 1941, durante l’ultima guerra e dal confino in cui erano ristretti Altiero Spinelli e i suoi due compagni hanno dato una base progettuale all’istanza di un’ unione politica dell’Europa contro la piena aggressione miliitare da parte del regime nazifascista. Il tentativo di Giorgia Meloni, come abbiamo visto nei ripetuti riproposizioni televisive dell’increscioso episodio è stato quello di liquidare attraverso poche frasi che incitavano chiaramente alle rivolta cotro il regime e i suoi alleati in quel momento già in armi come la propaganda in favore di uno Stato in cui la nostra nostalgica presidente di Gabinetto “non si vuole riconoscere” e non, nell’imediato, il tentativo di incitare a una lotta che dopo è effettivamente costata anni e spargimento di sangue per riuscire a raggiungere la liberazione il 25 apriile di quattro anni più tardi. Il destino dell’Unione europe ha cominciato a delinearsi nei successivi e lo vediamo ancora continuare, non lasciamocelo strappare da questi pericolosi quanto alquanto miopi tentativi di rivolgimento sedizioso dell’esistente.
Penso che sia errato attribuire a Giorgia Meloni un passato fascista non fosse altro che per la sua ancor giovane eta’. Credo che da Italiani possiamo essere orgogliosi del primo premier femminile. La Storia va letta senza lenti ideologiche. Per tale motivo occorre sobrietà e obiettività per comprendere l’oggi. Circa la Salis provo invidia per come l’Ungheria tratta gli agitatori ed i provocatori di piazza. Ovviamente e’ la mia opinione che credo sia altrettanto legittima quanto quella di chiunque altro. Su Putin e Trump mi sembra una sceneggiata per cambiare le carte in tavola. Ma nessuno ci può fare niente e non vedo insorgere molte proteste. Nel ‘68 la musica è stata ben diversa ma non si può pretendere sempre eroismi e coraggio. Infine viste le alternative offerte dalla famosa e sopravalutata “sinistra” mi accontenterei della stabilità di questo governo. Mettiamoci l’anima in pace, non vedo giganti politici all’orizzonte.
Mi chiedo perché la Storia non venga considerata un capitolo chiuso, relegata ad un tempo passato e lontano. Il mio giudizio su Giorgia Meloni e’ positivo e risponde alle mie rappresentazioni attuali di una democrazia matura. Di manifesti o di visioni distopiche e di natura orwelliana mi disinteresso totalmente. Cio’ premesso credo che quasi tutti in Italia non provano empatia per l’Unione Europea. Si tratta di un baraccone di mezze maniche acefali e privi di qualsiasi tipo di visione. Per colpa della Troica europea la Grecia è stata saccheggiata ed umiliata. E’ questo e’ un fatto e non una opinione. Non ho simpatia per francesi, inglesi e tedeschi che si sono autonominati guida politica dell’UO. Dico all’articolista che le parole e il ruolo di Giorgia Meloni non arrecano danno all’Italia. E tra quelli che si sono stracciati le vesti per l’oltraggio spinelliamo ci sono i reggicoda di personaggi politici che hanno devastato il nostro paese come Prodi, Ciampi, Draghi e Amato. E quindi prego di attenersi ai fatti: meno storia e più realismo.
Come studente della Scuola Media Inferiore Eugenio Colorno di Milano fui inviato dall’ allora preside ebreo Marcello Morpurgo ( una stupenda figura di uomo ed educatore) a omaggiare la tomba al Monumentale. Non avrei mai pensato che un giorno sarei stato alla guida della comunità cattolica di … Ventotene🙂! Quello che più mi ha colpito, senza entrare nelle differenti visioni politiche, è il fatto che una dittatura come quella fascista non abbia eliminato tanti suoi convinti oppositori facendoli tutti fuori come fece un certo Josip Stalin nello stesso periodo in Urss. Secondo voi perché Mussolini non li ha uccisi tutti quanti? Nessuno avrebbe protestato. Era già il mandante dell’omicidio Matteotti, no? Quando leggi che la moglie di Colorni se ne poteva stare con il marito al confino e poteva perfino roccambolescamente esportare il famoso Manifesto via nave capisci che molti di coloro che erano al confino su quei due km quadrati di isoletta non avrebbero di certo consentito un controllo così ridicolo ai loro oppositori… I nemici del comunismo rampante di quell’ epoca non avevano diritto di vivere così bene… Se inviati al confino (non su un’isoletta amena ma alle freddissime isole Solovskj, come ben ci insegna Sacharov, i più morivano per i lavori forzati… L’Europa che si proponeva da parte dei confinati aveva più rassomiglianza con l’ Est comunista che con la democrazia liberale. Ma comunque siano andate le cose resta che un’Europa senza Gesù Cristo (niente radici giudeo-cristiane nella costituzione … 😒) non potrà avere alcun futuro 😔, anche quando Meloni o Schlein aprano la bocca su Ventotene…
Trovo molto importante richiamare una opposizione molto vaga ed irritante all’inserimento nello Statuto europeo delle “radici giudaico cristiane”. Mi chiesi all’epoca quale fosse il motivo? Forse per l’ateismo comunista? O per la laicità liberale? O per l’indifferenza alla religione del socialismo? O forse per le nostalgie celtiche dei freddi paesi del nord? Non me lo sono mai spiegato anche perché mi domando quale sia allora l’identità europea alternativa? Quella illuministica? Quella pagana? Quella scientista? Penso che non ci siano margini per credere ancora nel futuro della democrazia stessa se rinunciamo ai nostri valori di fede. Se l’Europa è un frutto del nichilismo di Nietzsche o dei deliri del Manifesto di Ventotene allora non e’ nemmeno la mia Europa. Giorgia Meloni ha perfettamente ragione!
Sta a vedere che li avevano mandati a Ventotene in villeggiatura…
Certo resta da capire come mai non avessero pensato di mandarci pure don Minzoni, mah…
Si stava così bene lì, pure Gramsci mannaggia a lui si è incaponito a morire dopo un bel po’ di anni di galera, se ne avesse approfittato della gentile vacanza sulla bella isoletta,
Mah… peggio per lui…
Lei e’ stata molto furba soprattutto perche’ ha fatto deflagrare quanto sia lontana l’Europa attuale dal manifesto. Per questo Prodi se l’e’ presa, non perche’ abbia attaccato il manifesto ma perché ha mostrato quanto se ne sia allontanato chi lo difende.
Detto cio’ e’ un gioco di tifoserie e amen.
Ammesso e non concesso che la Meloni abbia davvero letto il manifesto di Ventottene, Una cosa è certa, ha, ancora una volta, distolto l’ attenzione sulla sua linea politica in politica estere, linea politica che doveva per l’ appunto, essere esplicata durante la seduta parlamentare. Morale della favola, o la Meloni non è capace di comprendere un testo in forma scritta, oppure non ha mai letto il manifesto e qualcuno, da dietro le quinte, visti i casini interni alla maggioranza, tra Tajani e Salvini, vista l’ acrobazia tra Trump e Von Der Leyen, le ha caldamente suggerito la frase per fare caos e fuggire ancora una volta dai suoi doveri.
Mah… Le ricostruzioni storiche sono sempre condizionate dagli eventi riletti nell’immediatezza … Nel dopo guerra c’era una lettura condizionata dal brutto periodo che la nazione italiana aveva subito dal momento politico precedente e dalla disfatta della seconda guerra mondiale… Si pensi quanto c’è voluto per riconoscere accanto al grande obbrobrio dei campi di sterminio, quello ugualmente brutale delle Foibe… Ho ascoltato la lettura della questione in merito, che ne ha fatto Paolo Mieli a Radio 24 il 20-03 mattino. Uno storico di un certo rilievo e serietà. Chi ha Ragione? Lascio a voi.
Uscendo dalle vare tifoserie politiche, e sapendo quanto è difficile sguarnirsi del proprio inevitabile limitato punto di vista, credo che sia ovvio come oggi: non la Germania ha invaso la Polonia dopo aver sottomesso tutta l’Europa occidentale, ma la situazione è altra… Peccato che i nostri propositori di un Europa “federata” a Ventotene , non possano dire come oggi la ripenserebbero… Con tanta simpatia per il dialogo . R (Vr)
Volentieri segnalo il prezioso commento di Vittorio Pelligra su Avvenire: https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/su-ventotene-dalla-premier-una-provocazione-strumentale
Sinceramente apprezzo molto di più le considerazioni che ho lette qualche giorno fa sul medesimo argomento del sociologo torinese, prof. Luca Ricolfi, che non è di certo un intellettuale di destra. Ecco alcune sue affermazioni: “Ebbene leggetelo questo benedetto manifesto, di cui tutti parlano ma che quasi nessuno ha letto. Perché se non lo leggete non potete rendervi contodi quale spaventosa distopia antidemocratica avessero in mente i suoi autori. I quali avevano in mente un edificio grandioso, un unico super Stato europeo, propedeutico a un futuro Stato unico mondiale. Ma pensavano di imporlo dall’alto, con una crisi rivoluzionaria socialista, attraverso ‘la dittatura del partito rivoluzionario’, senza libere elezioni, contro le timidezze dei democratici, accusati – tra le altre cose – di non ammettere un sufficiente ricorso alla violenza. E vi risparmio le idee in materia di funzionamento dell’economia, espropri, limitazioni alla proprietà privata, nazionalizzazioni”.
Ipse dixit, ricordando i Pitagorici e gli Aristotelici secondo Cicerone.
Evviva! Abbiamo scoperto che l’uso politico del “manifesto di Ventotene” (già dal nome, ben assonante) non è solo appannaggio della sinistra. Potrebbe quasi essere la volta buona per ricordare la disonesta opinione che Spinelli (martire di nulla, dacché morto nel 1986) ha della Chiesa cattolica “come naturale alleata di tutti i regimi reazionari”, nientemeno al fine di “stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito”. Che bella idea di libertà, nevvero?
Spinelli si è fatto 10 anni di galera e 6 di confino, martire di nulla?
Questi giudizi vergognosi se li tenga per lei, grazie.
E si vergogni!
Concezione alquanto vergognosa di “martirio”, la sua: non consegniamo la parola alla politica… Dopo tante battaglie e proteste, da vecchia dico che è meglio lasciar perdere queste canonizzazioni laiche e concentrarsi sul fatto che anche l’ideologia marxista e socialista ha largamente fallito il suo compito. Sul fascismo, siamo chiaramente d’accordo.
Lei sta girando in tondo al tema: Spinelli fu martire davvero e più di lui lo fu Colorni ucciso dai fascisti.
Il resto è fumo negli occhi.
Altro che canonizzazione laiche: galera e fucilate, di questo si tratta.
Ripeto: martiri di nulla… un corno.
Mi mancava il “si vergogni” di prassi! Una chiosa spocchiosetta e ammantata di tartufesca posa moraleggiante. Disgustoso…
Lei mi disgusta , il solito finto democratico che si complimenta con chi ha incarcerato e ucciso
Tra le cose che dice una giusta c’è: la Chiesa è storicamente stata vicina al potere e sfido a dimostrare il contrario. Potremmo fare un lungo excursus storico, ma per non andare lontani da Ventotene, dove erano confinati tanti di coloro che a vario grado non apprezzavano la camicia nera, ricordiamo Papa Pio XI, che non esitò a benedire in vario modo le azioni fasciste; pensa le condividesse? Sarebbe grave. Oggi la Chiesa ha meno potere; è meno rilevante perché meno sono i fedeli e coloro che seguono i suoi precetti le sue indicazioni, pertanto minore, quando non irrilevante, è il suo impatto politico; è per questo che oggi abbiamo un Papa che grida alla pace, completamente inascoltato. E’ l’emblema del declino nella possibilità di influenzare le politiche. Riguardo Ventotene, ancora, chiunque abbia letto poco più di nulla sul tema sa che in quel Manifesto sono riportate parole che hanno fatto sognare ed ispirato intere generazioni, portando avanti un’idea di fratellanza tra popoli che negli anni ’40 del novecento era qualcosa di duro a figurarsi.
Anche il Manifesto del Partito comunista di Karl Marx ha fatto sognare generazioni. Cio’ non toglie che uno ha tutto il diritto di criticare cosa ci sta scritto .
Il Manifesto di Ventotene non e’ un testo sacro !
Fortunatamente non ci fu nessun bisogno di rinunciare provvisoriamente alle formali prassi democratiche.
Nel 1946 l’Italia votò per la prima volta a suffragio veramente universale.
Ma poi perché mai si sarebbe dovuto rinunciare a votare?
Non sarebbe meglio riconoscere che anche Spinelli poteva avere delle idee sballate?
In fin dei conti era soltanto un essere umano fallibile come tutti noi.