Küng, il teologo dal volto umano

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Un ricordo, uno dei tanti, perché ero di casa nella villetta di Hans Küng a Tubinga, stracolma di libri, aperta a chiunque. Era l’ottobre dell’89, quasi dieci anni dopo che un provvedimento vaticano gli aveva tolto la cattedra di teologia nella celebre università tedesca.

Gli chiesi quale fosse il suo stato d’animo. Mi rispose: «Ci sono diversi aspetti del caso, il noto “caso Küng”. C’è l’aspetto ecclesiastico, ufficiale, e l’aspetto teologico, personale. L’intervento del Vaticano era chiaro: annullare la mia attività di teologo e la mia influenza. Quest’intervento mi appare ancor oggi, a distanza di anni, teologicamente infondato, giuridicamente ingiusto e politicamente controproducente. Ho perso tutto dieci anni fa.

Certo, con un “compromesso storico” mi è stato concesso d’insegnare teologia ecumenica alle dirette dipendenze del senato accademico. Sono rimasto direttore dell’Istituto per la Ricerca Ecumenica, che non ha il decano. Posso decidere con i miei collaboratori quello che vogliamo fare. Ho avuto la possibilità di dedicarmi a quei campi che hanno sempre costituito la mia passione fin dai tempi dei miei studi a Roma: le religioni, la teologia, la letteratura, i nuovi paradigmi, l’analisi della post- modernità. Ho scritto in questi dieci anni alcuni libri, che non avrei scritto se avessi continuato ad insegnare dogmatica».

Ancora una domanda: che cosa ha fatto precipitare la sua condanna? «L’articolo che ho scritto un anno dopo l’elezione di Giovanni Paolo II. Ho fatto un bilancio del suo pontificato. È stato giudicato molto duro e non giusto. Rileggendo adesso l’articolo, trovo invece che avevo dato una valutazione mitigata, moderata.

Oggi, nel 1989, si parla in modo molto differente del pontificato di Giovanni Paolo II. Si vedano, ad esempio, le varie “dichiarazioni”. La critica non viene solo dall’ala cosiddetta progressista della Chiesa cattolica, ma è generalizzata. Hanno sottoscritto la Dichiarazione di Colonia (gennaio 1989) anche professori notoriamente conservatori. Io mi sono tenuto lontano per non dare l’impressione di essere di nuovo il grande contestatore. Ho firmato, ma non sono andato a Colonia. È di moda oggi la parola perestrojka. Ma dov’è nella Chiesa, dove, invece, tutto è bloccato? Un’altra parola: solidarnosc: non va per la Chiesa.

C’è una casta di funzionari nella Curia romana, che non vuole accettare che una parte consistente di cattolici la pensi in maniera diversa sul controllo delle nascite, divorzio, celibato, aborto, eutanasia, relazioni ecumeniche, intercomunione. Io sono sempre stato un difensore del primato della Chiesa di Roma, però il primato deve essere pastorale, nel senso evangelico. Il primato non è per dividere, ma per unire la Chiesa».


Abbiamo raccolto alcune battute sui rapporti fra Hans Küng e alcuni nomi eccellenti: Lehmann, Kasper, Congar e Giovanni Paolo II.

Karl Lehmann e Hans Küng

Il 18 ottobre 1989 Karl Lehmann, vescovo di Mainz e presidente della Conferenza episcopale tedesca dichiarava: «Ho avuto il compito, ma anche il peso, di seguire la vicenda per quasi un decennio fino al 1979. Il card. Dopfner prima e poi il cardinale Hoffner mi hanno chiesto pareri e giudizi e ho visto la loro pazienza e benevolenza.

Nel 1974 sono stato al sinodo al seguito del cardinale Dopfner e ho seguito mese dopo mese l’evoluzione del caso Küng. Non posso qui ripetere tutto. Nel 1975 veniva ammonito e lo si invitava a rivedere le sue posizioni. Non capisco perché Küng, all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, abbia ripreso quelle stesse posizioni riaffermandole, anzi, enfatizzandole, con una sfida imprudente».

 Nel dicembre 1979 gli arrivava la condanna. Ritiene, a dieci anni di distanza, che sia giunto il tempo di far qualcosa per la sua riabilitazione?

Ho sempre sostenuto come teologo che un ripensamento della “condanna” è possibile solo quando Küng porterà nuovi elementi, quando lascerà intravvedere che ha veramente ascoltato e accolto qualcosa della vera e autentica critica. Posso pensare che abbia vivo interesse per la riabilitazione, ma questa deve andare di pari passo con una dichiarazione che manifesti il cambiamento di certe posizioni. Küng è oltre i sessant’anni e incomincia un’altra parte della vita. Se non dà prova di correggere certe cose, non mi pare che si possa procedere a una riabilitazione».

Come collega e come presidente della Conferenza episcopale mantiene buoni rapporti con Küng?

Rapporti diretti no. Lui lasciava il Collegio Germanico quando io incominciavo gli studi a Roma. Come presidente della Conferenza episcopale, beh, da noi è il vescovo della diocesi che segue i teologi. Il presidente non è un capo, è piuttosto un coordinatore. Ogni diocesi gode di grande autonomia.

Hans Küng e Walter Kasper

A Tubinga, nell’ottobre 1989, Küng dichiarava: «Walter Kasper è stato mio assistente e poi collega negli anni ’60. Penso che abbia desiderio di normalizzare la situazione, cioè di regolare i rapporti fra l’Istituto per la ricerca ecumenica e la facoltà di teologia di Tubinga. Vorrei che si facesse di tutto per normalizzare i nostri rapporti sia con la diocesi di Rottenburg sia con la Conferenza episcopale. Per quanto riguarda il mio caso, non so che cosa possa fare il vescovo Kasper.

C’è di mezzo Roma. È molto importante dire a Roma che non è vero che io sono pungente, drastico, duro. Tutti quelli che mi conoscono sanno che sono molto sereno, che lavoro con grande entusiasmo, con più entusiasmo di prima perché scopro ogni giorno nuovi campi. Posso viaggiare molto e tenere corsi un po’ dappertutto».

– Si è incontrato con Kasper?

Abbiamo avuto una lunga conversazione a tu per tu.

– Al di là delle posizioni teologiche differenti, che cosa è emerso, sul piano dell’amicizia, per risolvere il suo caso?

Il rapporto con Kasper è assolutamente diverso da quello con il suo predecessore Moser. Costui prima era un progressista, ma poi ha dovuto cedere di fronte a Roma. Poteva resistere e non l’ha fatto. Se fosse stato più duro con Roma, non si sarebbe arrivati al provvedimento. Il diritto alla resistenza non è molto sviluppato nella Chiesa.

E sì che ci sono buoni fondamenti nella sacra Scrittura. Basti pensare all’episodio di Pietro e Paolo. Lo dico con grande amarezza. Dopo la condanna, il vescovo Moser non ha più voluto vedermi. Non ha mai voluto parlarmi. Non è mai venuto all’università per parlare. Non mi hanno più invitato a riunioni di preti. Hanno tolto persino il mio indirizzo. Kasper, invece, ha cambiato e gliene sono grato. Quando ho saputo che il vescovo Moser si trovava all’ospedale, ho chiesto di andare a trovarlo, ma non ho ricevuto risposta. È morto senza quest’incontro che aspettavo da anni».

Al termine del colloquio, Küng mi diede il libro Teologia in cammino – Un’autobiografia spirituale. Scrisse la data: 11.10.89 e sotto: «35° anniversario della mia prima Messa a san Pietro in Roma». Si commosse.

Yves Congar e Hans Küng

A Parigi, nel dicembre 1981, Congar affermava: «È vero che Küng si è rifiutato di andare a Roma, ma avevano posto tali condizioni che gli era impossibile accettare. Vi sono questioni di dottrina, di contenuto. Nel caso Küng sono abbastanza gravi e riguardano la Trinità, la risurrezione, la concezione verginale di Gesù. Nella misura in cui si ha libertà, le cose si fanno meglio e vi è una critica da teologo a teologo. Ho io stesso criticato Küng su tutti i punti. Come ho criticato Schillebeekx.

Nella misura in cui noi teologi abbiamo la libertà, dobbiamo criticare ed esercitare la nostra responsabilità nei confronti della fede della Chiesa e del popolo cristiano. Talvolta si sente dire che si scandalizza il popolo cristiano, ma le questioni difficili non siamo noi a porle, ci sono poste dalla gente, alla quale dobbiamo dare una risposta nella linea della confessione della fede, che è la regola».

Hans Küng e Giovanni Paolo II

A Tubinga, nell’ottobre 1989, chiesi a Küng quale fosse il suo rapporto con il papa: «Più che il libro sull’“infallibilità”, è stato l’articolo su Giovanni Paolo II (1979) che ha messo in moto la condanna. Il papa si è sentito personalmente offeso. L’ha detto lui stesso durante la prima visita in Polonia. Si prendano in considerazione i libri che ho scritto e sono costruttivi: Essere cristiani, Dio esiste?, Vita eterna?, Cristianesimo e religioni universali ecc. Ho espresso molte volte il desiderio di incontrare il papa. Gli ho mandato in omaggio Dio esiste? Neppure un cenno di cortesia.

Gli ho scritto dalla Svizzera chiedendogli di poter incontrarlo dove vuole, quando vuole, come vuole. Nessuna risposta. Continuo a lavorare affrontando altre questioni. Ho scritto abbastanza sulla Chiesa, ora ho davanti a me l’orizzonte delle religioni e della letteratura. Altri, prima di me, hanno conosciuto la mano pesante di Roma. Hanno continuato a lavorare. Sono convinto che sia questione di tempo».

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5 Commenti

  1. Antonio Bollin 11 aprile 2021
  2. Andrés Torres Queiruga 8 aprile 2021
  3. Adelmo li Cauzi 8 aprile 2021
    • Sandro Rotili 10 aprile 2021
      • Adelmo li Cauzi 12 aprile 2021

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